Il rischio di “sgonfiamento” dell’Italia nei prossimi decenni
L’Italia è avviata ad essere il più vecchio paese d’Europa, con un vero e proprio spopolamento del Sud. La nota dell’Istat “Il futuro demografico dell’Italia”, diffusa il 26 aprile, offre ampi spunti di riflessione. La proiezione si spinge fino al 2065; ovviamente, man mano che ci si allontana dall’oggi, la previsione diventa più incerta, con una “forchetta” di possibilità, corredata però anche dall’indicazione di probabilità che i diversi andamenti si verifichino:
- La popolazione italiana, che era di 60,7 milioni nel 2016, scenderà, secondo lo scenario mediano, a 58,6 milioni nel 2045 e a 53,7 milioni nel 2065.
- Il Mezzogiorno rischia lo spopolamento. Essendo la zona meno attrattiva del Paese in termini di lavoro e prospettive economiche, secondo lo scenario mediano dell’Istat, nel 2065 il Centro-nord accoglierebbe il 71% di residenti contro il 66% di oggi; il Mezzogiorno invece arriverebbe ad accoglierne il 29% contro il 34% attuale
Il portavoce dell’ASviS Enrico Giovannini è stato tra i primi a commentare queste previsioni. Nella sua rubrica “Scegliere il futuro” su Radio Radicale ha messo in evidenza che il calo della popolazione comporta anche un calo della domanda globale e quindi della possibilità di sviluppo economico del Paese. L’invecchiamento, oltre a creare problemi al sistema previdenziale, modifica la struttura delle attività lavorative da quelle a più alto contenuto tecnologico che sono prerogativa dei giovani ai servizi alla persona a più basso valore aggiunto (come l’assistenza agli anziani) indispensabili in una società invecchiata, ma suscettibili di creare meno ricchezza.
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