Made in Piemonte


7 Maggio 2015|10 Minuti

Nel suo capannone sul Lago d’Orta, Katia assembla rubinetti per camper e barche, e contemporaneamente realizza con un orafo un rubinetto gioiello che fa sognare gli sceicchi nelle grandi fiere internazionali. Roberto, tra i vigneti del Roero, produce un Barolo che esporta in mezzo mondo e la sera intrattiene gli ospiti nel suo agriturismo relais. Enzo, dalla raccolta e trasformazione dei tappi di sughero usati produce materiali per la bioedilizia che vende on line. Donato investe in macchinari più efficienti e innovativi, per dare nuove chance all’impresa che fa meccanica di precisione del padre, nata nel garage di casa a Novara.

Sono i protagonisti della ricerca Made in Italy, Specialità piemontese, che Torino Nord Ovest ha scritto su incarico di Unipol, provando a fare una fotografia del mondo in cui si incrociano comparti con filiere, eccellenze con tessuti imprenditoriali localizzati, tradizioni artigianali con business globali. La ricerca è durata nove mesi di inteso lavoro di interviste, visite agli stabilimenti, più un laboratorio di idee itinerante, che ha coinvolto piccoli imprenditori e rappresentanze in tre appuntamenti molto partecipati in giro per il Piemonte. Erano occasioni di confronto fra addetti ai lavori, per fare emergere punti di vista, buone pratiche, nodi critici e opportunità da cogliere.

Al cuore della ricerca era la domanda sul futuro della manifattura piemontese, per verificare se i sedimenti della cultura della produzione, dell’organizzazione, della tecnologia che sono stati il segno distintivo di questo territorio gli consentiranno di ritagliarsi un ruolo nell’Italia industriale del post-crisi. E se il Piemonte sarà capace di contribuire attivamente al futuro del Made in Italy, che in questa regione ha molte imprese importanti e ha visto la nascita fenomeni – si pensi a Slow Food – che hanno contribuito a dotare di nuovi significati e immagini il prodotto italiano.

Le grandi industrie si sono ritirate, ma il Piemonte fa ancora parte del ristretto gruppo di regioni in cui la manifattura occupa oltre il 30% degli addetti. Il mix produttivo comprende auto, mezzi di trasporto e produzioni meccaniche (la principale specializzazione) e si esprime meno nelle manifatture leggere, con l’eccezione dell’agroalimentare e delle bevande. Sul territorio hanno sede oltre 10.700 imprese attive nei settori Made in Italy in senso stretto (manifatture leggere), che impiegano quasi 95.000 addetti: si tratta di un terzo delle aziende manifatturiere attive. Tra queste, la componente più numerosa è il settore alimentare e bevande, ma se si guarda al valore del prodotto e alla occupazione, pesa di più il Made in Italy ad alta tecnologia, che impiega oltre 160.000 persone – di cui quasi 100.000 nella produzione di auto, componenti e altri mezzi di trasporto. Considerando insieme i due gruppi, nella regione sono attive circa 14.500 imprese che impiegano 258.000 addetti.

Anche il Made in Italy piemontese si compone, come ovunque in Italia, di piccoli operatori. Il 70% delle imprese Made in Piemonte sono artigiane, dunque la prevalenza della grande industria nella regione si dimostra più che altro un mito. La crisi economica ha fortemente colpito il settore, se si pensa che, tra 2008 e il 2012, le imprese attive sono diminuite di 1.500 unità, e si sono alleggerite di 26.000 posti di lavoro. Nonostante tutto, esiste una minoranza robusta di operatori che ha saputo riposizionare il proprio business e crescere, e a fare la differenza è stata la capacità delle singole imprese di espandersi sui mercati internazionali: il Piemonte è da anni stabilmente quarta regione esportatrice in Italia.

 

L’identikit del made in piemonte, in dieci passi

  • Gli imprenditori. Al centro dell’universo manifatturiero diffuso erano, e restano, gli imprenditori. Hanno radici forti, sempre (o quasi) figli di un contesto e di saperi, relazioni, appartenenze. Vedono il lavoro come passione durevole e l’impresa come progetto di vita. La famiglia ricoprire un ruolo cruciale, come incubatore delle competenze, come “investitore” fiduciario, come bacino di lavoro e sostegno materiale.
  • Il prodotto. Le imprese sviluppano un prodotto proprio e mettono in campo strategie ibride di innovazione (incrementale/evolutiva/radicale), le quali dipendono dalle prerogative del “campo” in cui sono inserite. In genere, la logica comune vede le imprese muoversi da prodotti semplici a prodotti più complessi. Di norma si conferma l’orientamento alle “nicchie”: piccole serie, pezzi unici, tendenzialmente rivolti a segmenti “alti” del mercato.
  • I confini. Le imprese esaminate allungano i confini dei propri mercati, e alcune vantano quote export superiori a metà del fatturato, mentre per altre le vendite estere costituiscono una frazione crescente. Le dimensioni piccole non sono più un ostacolo per vendere e tra loro le imprese collaborano più di quanto si creda, anche se la cooperazione è raramente formalizzata.
  • Crisi e innovazione. L’impatto della crisi è stato importante per molte imprese, ma quasi tutte hanno saputo ristrutturare la formula imprenditoriale e aprire un nuovo ciclo. Ristrutturazioni, innovazione di processo, lancio di nuovi prodotti o adattamento di quelli esistenti sono le piste praticate. Gli anni di crisi sono divenuti un laboratorio ideativo per nuove vie, la crisi un acceleratore di riconversioni.
  • Dimensioni d’impresa. L’esercito del Made in Italy rimane una fanteria leggera, con ampia prevalenza di imprese piccole (ma non troppo), più che medie. Il nucleo trainante mostra tuttavia di sapersi muovere verso prodotti e servizi che si appoggiano sulla qualità, il fashion, la creazione di significati, la smaterializzazione degli asset generativi di valore.
  • Nuovi mercati. L’ampliamento dei confini operativi pone alle piccole imprese problemi inediti. Ad esempio, la velocità delle transazioni implica maggiore incertezza sul rispetto dei contratti e la necessità di affidarsi a dispositivi formali anziché fiduciari. Che sappiano garantire la qualità e l’affidabilità delle produzioni, la veridicità dei prodotti e il valore immateriale incorporato nel brand collettivo.
  • Mostrarsi. Mostrare i propri prodotti, dotandosi di adeguate informazioni “pubbliche” costituisce sempre più la condizione necessaria per la partecipazione ai mercati. È diffusa la convinzione, tra molti operatori, che il web costituisca il vero canale di riferimento per la comunicazione commerciale.
  • Capitale umano. Cresce la necessità di personale mediamente qualificato. L’impiego di operai specializzati con forti componenti di “capitale umano biografico” (basate cioè sull’esperienza e sui saperi taciti) appartiene alla storia del Made in Italy, mentre la novità è rappresentata dalla parziale svolta “cognitiva”: spesso i titolari ad essere in possesso di adeguati skill formali, ma sempre più spesso le imprese introducono in azienda personale con competenze importanti nei campi del design, marketing, comunicazione.
  • Nuovi valori. Dall’originaria declinazione di “bello” “buono”, progressivamente il Made in Italy, si è arricchito di nuovi valori e concetti. Al centro c’è sempre la qualità del prodotto, ma questo incorpora anche l’idea del “pulito” e, se possibile, dello “smart”. Sembra maturata tra gli imprenditori la prospettiva della sostenibilità, l’idea di “rendere sostenibile la modernità”.
  • Ecosistema. Infine, la qualità dell’ecosistema ha un valore irrinunciabile. A fronte della complessità ambientale e dei mercati, le imprese richiedono risorse esterne e beni collettivi che non sono in grado di generare dall’interno. Le storie delle imprese che ce la fanno testimoniano l’importanza di avere banche che danno fiducia, associazioni imprenditoriali proattive, buone scuole professionali, università e centri di ricerca, policy regionali efficaci, burocrazia locale efficiente, servizi qualificati e innovativi, oltre che sistemi di saperi e conoscenze tecniche capaci di trasferirsi per contaminazione. Questo capitale territoriale, nell’apparente evaporazione dei sistemi locali come bacini delle risorse per competere, e nel reale venire meno di reti fiduciarie tessute dalla condivisione della cultura d’origine, è il vero venture capitalist collettivo delle imprese del nuovo Made in Italy.

Fonte TNO Blog

Il video della ricerca

Il progetto

Scarica l’Abstract in PDF (133kb): MadeInPiemonte_Abstract

Scarica il Factsheet in PDF (1MB): MadeInPiemonte_Factsheet

Invito 1° Appuntamento: Made-in-Piemonte_ECONOMIA-DELLA-TERRA_1.12.14

Invito 2° Appuntamento: Made-in-Piemonte_ECONOMIA-DELLA-NUOVA-FABBRICA_27.1.14

Invito 3° Appuntamento: Made-in-Piemonte_ECONOMIA-DELLA-GRIFFE_16.2.14


Made in Piemonte


CRU unipol|7 Maggio 2015|10 Minuti

Nel suo capannone sul Lago d’Orta, Katia assembla rubinetti per camper e barche, e contemporaneamente realizza con un orafo un rubinetto gioiello che fa sognare gli sceicchi nelle grandi fiere internazionali. Roberto, tra i vigneti del Roero, produce un Barolo che esporta in mezzo mondo e la sera intrattiene gli ospiti nel suo agriturismo relais. Enzo, dalla raccolta e trasformazione dei tappi di sughero usati produce materiali per la bioedilizia che vende on line. Donato investe in macchinari più efficienti e innovativi, per dare nuove chance all’impresa che fa meccanica di precisione del padre, nata nel garage di casa a Novara.

Sono i protagonisti della ricerca Made in Italy, Specialità piemontese, che Torino Nord Ovest ha scritto su incarico di Unipol, provando a fare una fotografia del mondo in cui si incrociano comparti con filiere, eccellenze con tessuti imprenditoriali localizzati, tradizioni artigianali con business globali. La ricerca è durata nove mesi di inteso lavoro di interviste, visite agli stabilimenti, più un laboratorio di idee itinerante, che ha coinvolto piccoli imprenditori e rappresentanze in tre appuntamenti molto partecipati in giro per il Piemonte. Erano occasioni di confronto fra addetti ai lavori, per fare emergere punti di vista, buone pratiche, nodi critici e opportunità da cogliere.

Al cuore della ricerca era la domanda sul futuro della manifattura piemontese, per verificare se i sedimenti della cultura della produzione, dell’organizzazione, della tecnologia che sono stati il segno distintivo di questo territorio gli consentiranno di ritagliarsi un ruolo nell’Italia industriale del post-crisi. E se il Piemonte sarà capace di contribuire attivamente al futuro del Made in Italy, che in questa regione ha molte imprese importanti e ha visto la nascita fenomeni – si pensi a Slow Food – che hanno contribuito a dotare di nuovi significati e immagini il prodotto italiano.

Le grandi industrie si sono ritirate, ma il Piemonte fa ancora parte del ristretto gruppo di regioni in cui la manifattura occupa oltre il 30% degli addetti. Il mix produttivo comprende auto, mezzi di trasporto e produzioni meccaniche (la principale specializzazione) e si esprime meno nelle manifatture leggere, con l’eccezione dell’agroalimentare e delle bevande. Sul territorio hanno sede oltre 10.700 imprese attive nei settori Made in Italy in senso stretto (manifatture leggere), che impiegano quasi 95.000 addetti: si tratta di un terzo delle aziende manifatturiere attive. Tra queste, la componente più numerosa è il settore alimentare e bevande, ma se si guarda al valore del prodotto e alla occupazione, pesa di più il Made in Italy ad alta tecnologia, che impiega oltre 160.000 persone – di cui quasi 100.000 nella produzione di auto, componenti e altri mezzi di trasporto. Considerando insieme i due gruppi, nella regione sono attive circa 14.500 imprese che impiegano 258.000 addetti.

Anche il Made in Italy piemontese si compone, come ovunque in Italia, di piccoli operatori. Il 70% delle imprese Made in Piemonte sono artigiane, dunque la prevalenza della grande industria nella regione si dimostra più che altro un mito. La crisi economica ha fortemente colpito il settore, se si pensa che, tra 2008 e il 2012, le imprese attive sono diminuite di 1.500 unità, e si sono alleggerite di 26.000 posti di lavoro. Nonostante tutto, esiste una minoranza robusta di operatori che ha saputo riposizionare il proprio business e crescere, e a fare la differenza è stata la capacità delle singole imprese di espandersi sui mercati internazionali: il Piemonte è da anni stabilmente quarta regione esportatrice in Italia.

 

L’identikit del made in piemonte, in dieci passi

  • Gli imprenditori. Al centro dell’universo manifatturiero diffuso erano, e restano, gli imprenditori. Hanno radici forti, sempre (o quasi) figli di un contesto e di saperi, relazioni, appartenenze. Vedono il lavoro come passione durevole e l’impresa come progetto di vita. La famiglia ricoprire un ruolo cruciale, come incubatore delle competenze, come “investitore” fiduciario, come bacino di lavoro e sostegno materiale.
  • Il prodotto. Le imprese sviluppano un prodotto proprio e mettono in campo strategie ibride di innovazione (incrementale/evolutiva/radicale), le quali dipendono dalle prerogative del “campo” in cui sono inserite. In genere, la logica comune vede le imprese muoversi da prodotti semplici a prodotti più complessi. Di norma si conferma l’orientamento alle “nicchie”: piccole serie, pezzi unici, tendenzialmente rivolti a segmenti “alti” del mercato.
  • I confini. Le imprese esaminate allungano i confini dei propri mercati, e alcune vantano quote export superiori a metà del fatturato, mentre per altre le vendite estere costituiscono una frazione crescente. Le dimensioni piccole non sono più un ostacolo per vendere e tra loro le imprese collaborano più di quanto si creda, anche se la cooperazione è raramente formalizzata.
  • Crisi e innovazione. L’impatto della crisi è stato importante per molte imprese, ma quasi tutte hanno saputo ristrutturare la formula imprenditoriale e aprire un nuovo ciclo. Ristrutturazioni, innovazione di processo, lancio di nuovi prodotti o adattamento di quelli esistenti sono le piste praticate. Gli anni di crisi sono divenuti un laboratorio ideativo per nuove vie, la crisi un acceleratore di riconversioni.
  • Dimensioni d’impresa. L’esercito del Made in Italy rimane una fanteria leggera, con ampia prevalenza di imprese piccole (ma non troppo), più che medie. Il nucleo trainante mostra tuttavia di sapersi muovere verso prodotti e servizi che si appoggiano sulla qualità, il fashion, la creazione di significati, la smaterializzazione degli asset generativi di valore.
  • Nuovi mercati. L’ampliamento dei confini operativi pone alle piccole imprese problemi inediti. Ad esempio, la velocità delle transazioni implica maggiore incertezza sul rispetto dei contratti e la necessità di affidarsi a dispositivi formali anziché fiduciari. Che sappiano garantire la qualità e l’affidabilità delle produzioni, la veridicità dei prodotti e il valore immateriale incorporato nel brand collettivo.
  • Mostrarsi. Mostrare i propri prodotti, dotandosi di adeguate informazioni “pubbliche” costituisce sempre più la condizione necessaria per la partecipazione ai mercati. È diffusa la convinzione, tra molti operatori, che il web costituisca il vero canale di riferimento per la comunicazione commerciale.
  • Capitale umano. Cresce la necessità di personale mediamente qualificato. L’impiego di operai specializzati con forti componenti di “capitale umano biografico” (basate cioè sull’esperienza e sui saperi taciti) appartiene alla storia del Made in Italy, mentre la novità è rappresentata dalla parziale svolta “cognitiva”: spesso i titolari ad essere in possesso di adeguati skill formali, ma sempre più spesso le imprese introducono in azienda personale con competenze importanti nei campi del design, marketing, comunicazione.
  • Nuovi valori. Dall’originaria declinazione di “bello” “buono”, progressivamente il Made in Italy, si è arricchito di nuovi valori e concetti. Al centro c’è sempre la qualità del prodotto, ma questo incorpora anche l’idea del “pulito” e, se possibile, dello “smart”. Sembra maturata tra gli imprenditori la prospettiva della sostenibilità, l’idea di “rendere sostenibile la modernità”.
  • Ecosistema. Infine, la qualità dell’ecosistema ha un valore irrinunciabile. A fronte della complessità ambientale e dei mercati, le imprese richiedono risorse esterne e beni collettivi che non sono in grado di generare dall’interno. Le storie delle imprese che ce la fanno testimoniano l’importanza di avere banche che danno fiducia, associazioni imprenditoriali proattive, buone scuole professionali, università e centri di ricerca, policy regionali efficaci, burocrazia locale efficiente, servizi qualificati e innovativi, oltre che sistemi di saperi e conoscenze tecniche capaci di trasferirsi per contaminazione. Questo capitale territoriale, nell’apparente evaporazione dei sistemi locali come bacini delle risorse per competere, e nel reale venire meno di reti fiduciarie tessute dalla condivisione della cultura d’origine, è il vero venture capitalist collettivo delle imprese del nuovo Made in Italy.

Fonte TNO Blog

Il video della ricerca

Il progetto

Scarica l’Abstract in PDF (133kb): MadeInPiemonte_Abstract

Scarica il Factsheet in PDF (1MB): MadeInPiemonte_Factsheet

Invito 1° Appuntamento: Made-in-Piemonte_ECONOMIA-DELLA-TERRA_1.12.14

Invito 2° Appuntamento: Made-in-Piemonte_ECONOMIA-DELLA-NUOVA-FABBRICA_27.1.14

Invito 3° Appuntamento: Made-in-Piemonte_ECONOMIA-DELLA-GRIFFE_16.2.14