Integrare il welfare, sviluppare la White Economy: prospettive del modello emiliano
Si è svolto a Bologna il convegno “Integrare il welfare, sviluppare la white economy” promosso da Unipol Emilia Romagna e Censis per discutere degli strumenti di welfare pubblici e privati che possano, oltre che dare risposte ai cittadini, rilanciare la crescita economica e l’occupazione. Durante il convegno è stato anche presentato il rapporto “Welfare Italia. Focus sulle famiglie dell’Emilia Romagna” che racconta lo stato del welfare della regione, individuando importanti suggerimenti per le scelte future.
Le famiglie emiliane nel rapporto Welfare Italia
Nonostante la lunga crisi non abbia risparmiato il territorio regionale, il 42,3% delle famiglie in Emilia Romagna valuta la propria condizione economica “solida” - una quota superiore al 31,2% della media nazionale. Tuttavia, si rileva una crescente preoccupazione per il futuro. Nella fase attuale, in particolare, i timori delle famiglie tendono a concentrarsi sulla difficoltà a risparmiare, ma più che verso un risparmio fine a se stesso la preoccupazione principale sembra riferita alla capacità di affrontare le spese mediche. Un dato che, secondo Giuseppe Roma del Censis, “ci indica quanto siano cambiati i consumi”, ora più orientati verso la ricerca del benessere psico-fisico piuttosto che sui tradizionali beni di consumo. Un dato che offre importanti indicazioni sulle scelte economiche che diversi operatori dovranno intraprendere in futuro.
Nonostante il giudizio sulla sanità pubblica in Emilia-Romagna sia positivo (per il 55% funziona bene contro il 41,7% della media italiana), il 78,2% di chi nell’ultimo anno è ricorso a cure mediche ha utilizzato la sanità privata in misura pressoché analoga a quanto succede nel resto d’Italia (77,5%). La principale ragione del ricorso al privato è individuata nelle lunghe liste d’attesa (74,4%), seguita dalla possibilità di scegliere il medico di fiducia (22,3%). Con sorpresa emerge, invece, che la flessibilità degli orari che il privato può offrire, non muova più di tanto la domanda di sanità (1,7%).
Dati che, secondo Roma, non vanno sottovalutati: “In Italia si spendono 27 miliardi di euro per la sanità privata. In Emilia-Romagna la cifra è pari a 2,1 miliardi di euro. Se a questi si aggiungono 1,4 miliardi di euro per l’assistenza, significa che le famiglie spendono circa 3,5 miliardi di euro di tasca propria. È un’integrazione strisciante che va riportata nell’alveo di un’organizzazione, creando quella che noi chiamiamo white economy”.
Sul welfare integrativo la regione presenta condizioni piuttosto complesse. Se, infatti, la diffusione di strumenti finalizzati a integrare il trattamento pensionistico e le prestazioni sanitarie si dimostra in linea col Paese, quando non superiore per alcuni segmenti, è anche vero che i margini per una ulteriore penetrazione di questi prodotti sembrano non proprio allettanti in prospettiva, a fronte di un mercato italiano che invece appare più dinamico.
Sul lato della previdenza integrativa sono più numerose le famiglie emiliano-romagnole che hanno aderito a fondi pensione integrativi aziendali (10,8%) rispetto a quanto si verifichi nel resto del Paese (8,8%), mentre non si riscontrano grosse differenze per quanto concerne gli strumenti previdenziali ad adesione individuale (11% a fronte del 10,2% a livello nazionale).
Sul versante della sanità integrativa le famiglie emiliano-romagnole tendono a concentrare il loro interesse verso le assicurazioni sanitarie private individuali (6,3%), i piani sanitari aziendali (7,2%) e le mutue sanitarie integrative (3,2%), che sono possedute da un numero di famiglie più ampio rispetto al resto del Paese, ma anche in questo caso non sembra ci siano ampie chances di crescita.
Ciò si deve, da un lato, agli elevati costi di acquisto, dall’altro – ad esempio sul fronte integrativo - risulta ampio il bacino di famiglie che pur volendo aderire a fondi o sottoscrivere prodotti assicurativi ne è di fatto impossibilitato, spesso a causa di lacune in termini di conoscenze.
Rilanciare il welfare per rilanciare occupazione e economia
“Il welfare va inteso non solo come strumento di protezione sociale, ma anche come leva per aiutare la crescita, l’occupazione e lo sviluppo di attività legate al benessere di tutti i cittadini”. Lo ha detto il presidente della Regione Emilia Romagna Stefano Bonaccini, spiegando che la Regione, nonostante i pesanti tagli dei trasferimenti statali, ha confermato il proprio sostegno ai servizi sul territorio. Secondo uno studio della Fondazione economica Rosselli, riportato dal Sole 24 Ore, l’Emilia Romagna si è affermata come la terza regione in Europa per eccellenza sanitaria e qualità dei servizi. “Da Piacenza a Rimini, abbiamo quasi 130mila persone assistite a domicilio e oltre 15mila famiglie che usufruiscono degli assegni di cura; negli oltre mille nidi dell’Emilia-Romagna, siamo arrivati quasi il 34% di posti coperti rispetto al totale dei potenziali utenti”. Fattori che per Bonaccini hanno contribuito al perseguimento di un buon tasso di occupazione femminile, a dimostrazione di come i servizi generino un impatto positivo sul lavoro.
Questa qualità nell’offerta di servizi tuttavia, per mantenersi tale, avrà bisogno della partecipazione responsabile di tutti gli attori, sia pubblici che privati, attraverso la definizione di “standard” di gestione e fabbisogni correlati. “E’ una sfida, la nostra, che va oltre agli assunti ideologici del passato, per cui pubblico è positivo e privato è speculazione, o viceversa il pubblico è inefficiente e tende a sprecare, per cui sarebbe meglio orientarsi a un privato efficiente” prosegue Bonaccini. “Solo in questo modo potremo rimodulare un welfare realmente di comunità e partecipato, basato su una forte presenza di garanzia del “pubblico” e, contemporaneamente, sul coinvolgimento e la partecipazione delle parti sociali, del terzo settore, con il pieno coinvolgimento del volontariato. Solo così potremmo realmente affrontare le sfide di una società – la nostra – che è già cambiata e che continuerà a cambiare”.
“Da una virtuosa integrazione pubblico-privata, unita alla valorizzazione dell’economia della salute, dell’assistenza e del benessere della persona, può scaturire un forte cambiamento di tipo produttivo e occupazionale utile al rilancio economico e sociale del Paese”, ha concluso Pierluigi Stefanini, Presidente Gruppo Unipol.
Garantire l’universalismo ed evitare la “dualizzazione”
Idea condivisa è che sia necessario fare attenzione affinché questo nuovo assetto non generi dualizzazione tra garantiti e non, non determini un “welfare a tempo determinato”, replicando le distorsioni già presenti nel mercato del lavoro e nella distribuzione del reddito. L’attuale “erosione” del ceto medio e la perdita della sua omogeneità richiedono infatti interventi innovativi anche sul fronte del welfare – alla stregua di quanto accade sul fronte della povertà.
Una soluzione potrebbe essere allora quella di ragionare a livello territoriale, come spiegato da Fiammetta Fabris, Direttore Generale di UniSalute: “Dobbiamo cogliere le opportunità che ci sono per dare avvio all’istituzione di fondi integrativi del servizio sanitario nazionale, su specifiche tematiche, anche a carattere territoriale. E’ necessario che siano aperti, cioè non riservati a specifici gruppi di lavoratori o di professionisti, ma rivolti a tutti i cittadini”.
Discorso che si inserisce nel percorso già avviato in materia di non autosufficienza, dove si sta provando ad operare su 3 livelli: 1) la costituzione di un fondo integrativo territoriale (su base regionale) per la non-autosufficienza che non faccia riferimento a specifici gruppi (di lavoratori) ma all’intera cittadinanza, a triplice finanziamento (welfare aziendale, risorse pubbliche e finanziamento dei cittadini su base volontaria); 2) l’introduzione dei buoni servizio; 3) la valorizzazione e il sostegno dei caregiver familiari, già avviata con la legge regionale sul caregiver familiare.
Articolo di Chiara Lodi Rizzini
Fonte Secondowelfare.it
Rassegna stampa
Agenzie di Stampa Convegno Welfare ER (PDF 100kb)
Welfare, Italia. Focus sulle famiglie in Emilia Romagna
Il CRU EMILIA ROMAGNA ha organizzato il convegno " Welfare, Italia. Laboratorio per le nuove politiche sociali. Integrare il welfare, sviluppare la white economy".
Il Convegno si svolgerà il 12 febbraio 2015 dalle ore 9.15 presso la Salaborsa, Auditorium Enzo Biagi Piazza del Nettuno, 3.
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White economy è fiducia nel futuro: le nuove sfide per il territorio, imprese e famiglie
Presentazione del rapporto “Welfare, Italia. Focus sulle famiglie in Emilia Romagna” di Unipol e Censis
Nuovi strumenti del welfare di territorio per una integrazione virtuosa tra pubblico e privato.
9.15 Welcome coffee e registrazione dei partecipanti
Apertura dei Lavori Carlo Pilotti, Consiglio Regionale Unipol Emilia Romagna
Saluto istituzionale Stefano Bonaccini, Presidente Regione Emilia Romagna
Presentazione del Rapporto “Welfare, Italia. Focus sulle famiglie in Emilia Romagna” Giuseppe Roma, Censis
Tavola rotonda: nuovi strumenti del welfare di territorio per un’integrazione virtuosa tra pubblico e privato
Introduce: Vincenzo Colla, Presidente Consiglio Regionale Unipol e Segretario generale CGIL Emilia Romagna
Intervengono:
Fiamme a Fabris, Dire ore Generale UniSalute
Massimo Mazzavillani, Dire ore CNA Ravenna
Virginio Merola, Sindaco di Bologna
Giovanni Monti, Presidente Legacoop Emilia Romagna
Alberto Vacchi, Presidente Unindustria Bologna
Durante il dibattito sono previsti alcuni interventi dalla platea
La responsabilità di governare e fare impresa guardando oltre la crisi
Ne parlano: Elisabett a Gualmini, Vice Presidente Regione Emilia Romagna e Assessore alle Politiche di Welfare e Politiche Abitative
Pierluigi Stefanini, Presidente Gruppo Unipol
Sergio Venturi, Assessore alle Politiche per la Salute Regione Emilia Romagna
Scarica la sintesi del rapporto in formato PDF (1MB)
Sintesi Unipol_Censis_Report_Welfare_Emilia Romagna
Welfare Italia. Focus sul Lazio
Le famiglie del Lazio spendono di tasca propria per le prestazioni sanitarie più di quanto avviene nel resto d’Italia. Nel Lazio l’88,7% delle famiglie ha sostenuto infatti spese nell’ultimo anno per acquistare farmaci a prezzo intero o per pagare i ticket in farmacia (il 78,2% nella media italiana), l’83,5% ha sostenuto spese out of pocket per prestazioni ambulatoriali come visite mediche specialistiche o accertamenti diagnostici (il 60,3% a livello nazionale), il 43,6% per visite e prestazioni odontoiatriche private (contro una media del 38,6%). Data la scarsa copertura da parte del sistema sanitario pubblico, negli ultimi due anni il 31% delle famiglie del Lazio ha effettuato solo le cure odontoiatriche indispensabili, preferendo strutture pubbliche o puntando al massimo risparmio in caso di accesso alle strutture private, anche rinunciando alla qualità. E il 23% è stato costretto a rinunciare o rimandare il ricorso al dentista, sebbene fosse necessario, perché troppo costoso.
È quanto emerge da una ricerca sul welfare nel Lazio realizzata nell’ambito del progetto «Welfare, Italia. Laboratorio per le nuove politiche sociali» di Censis e Unipol, con la collaborazione del Consiglio regionale Unipol Lazio. che è stata presentata oggi a Roma presso il Tempio da Adriano da Giuseppe Roma, Direttore Generale del Censis, e discussa, tra gli altri, da Claudio Di Berardino, Segretario Generale della Cgil Roma e Lazio e Presidente del Cru Lazio, Pierluigi Stefanini, Presidente di Unipol, Ignazio Marino, Sindaco di Roma, e Nicola Zingaretti, Presidente della Regione Lazio.
I tagli alla sanità pubblica
Nel Lazio la sanità pubblica regionale è soggetta a processi di razionalizzazione dell’offerta ospedaliera, con la riduzione dei posti letto per acuti. E il Lazio è una delle Regioni con piano di rientro, dovuto al deficit accumulato nelle precedenti gestioni, per cui gli amministratori regionali si sono trovati a dover operare in questi anni una riduzione complessiva dei costi, che potrebbe aver avuto un impatto anche sulla qualità e la capillarità dei servizi erogati. Dal 2007 al 2011, sia le strutture ospedaliere pubbliche che quelle private accreditate si sono ridotte nella regione del 7% circa, mentre nel resto d’Italia sono aumentate. I posti letto sono diminuiti del 19,7% nelle strutture pubbliche e del 28,4% in quelle private accreditate, più che nelle altre aree del Paese (nella media nazionale la variazione è pari a -6,6%). Anche il personale medico e infermieristico si è ridotto nel Lazio rispettivamente del 5,7% e del 5% contro una sostanziale stabilità registrata a livello nazionale. La spesa sanitaria pubblica per abitante nel Lazio è diminuita del 4%, con una riduzione particolarmente sensibile tra il 2009 e il 2010 (-2%), a fronte di un andamento pressoché invariato nelle altre aree del Paese.
La rete del welfare familiare
Il 40% delle famiglie italiane è impegnato in una vera e propria rete di supporto informale, fornendo aiuto ai familiari in difficoltà. Questa tendenza appare ancora più spiccata nel Lazio (55%). Nella regione la tipologia di supporto scambiata più frequentemente consiste nell’aiuto a persone sole o malate (riguarda il 22,9% delle famiglie), il prestito infruttifero di denaro o di altri beni (il 18,1% nel Lazio contro l’8,2% a livello nazionale) e l’assistenza agli anziani (il 17,6% contro il 9,8% medio). Le voci di spesa più diffuse nel Lazio sono orientate all’assistenza ad anziani e bambini e al mantenimento dei Neet, i giovani che non studiano e non lavorano, con costi che gravano sulle famiglie a fronte di una copertura pubblica carente.
I consumi al tempo della crisi
La congiuntura economica sfavorevole influenza le scelte e i comportamenti delle famiglie. La strategia prevalente per fronteggiare le difficoltà è la razionalizzazione, con la riduzione di sprechi ed eccessi, adottata dall’82,5% delle famiglie del Lazio. Molte sono le famiglie orientate alla ricerca di opportunità di risparmio e alla riduzione dei consumi in vari ambiti, da quello alimentare (il 64,5% nel Lazio e il 72,8% in Italia), alla convivialità del ristorante (il 53,2% nel Lazio e il 58,7% in Italia), fino agli spostamenti e ai mezzi di trasporto (il 48,6% nel Lazio e il 59,6% in Italia).
Le preoccupazioni maggiori: il futuro dei figli
La paura più diffusa nel Lazio è il rischio di ammalarsi (per il 37,7% delle famiglie). Ma il timore più avvertito dalle famiglie della regione rispetto al resto del Paese è il futuro dei figli (per il 32,3% contro il 26,6% registrato a livello nazionale), poi la non autosufficienza (27%), la situazione economica (23,4%) e il lavoro (22,4%).
Con quali strumenti affrontare i bisogni socio-assistenziali di domani?
Il 44,7% delle famiglie nel Lazio si aspetta da parte del soggetto pubblico una copertura sufficiente (si tratta di chi non ha alternative alla copertura pubblica per ragioni economiche), il 46,1% integrerà i servizi pubblici con quelli privati pagando di tasca propria, il 9,2% (contro il 9,8% a livello nazionale) considera il ricorso a strumenti assicurativi e finanziari privati. Di questi ultimi, il 7,1% (il 5,7% nella media Italia) propende per un modello di welfare mix, integrando la copertura pubblica con le prestazioni finanziate tramite mutua o assicurazione, e il 2,1% (il 4,1% a livello nazionale) pensa di affidarasi completamente al privato grazie a strumenti assicurativi. Emerge così una consapevolezza diffusa che la copertura pubblica necessiterà di integrazioni private. Ma la cultura dell’autoregolazione e dell’out of pocket rimane ancora largamente dominante, con un mercato delle prestazioni assistenziali fortemente disomogeneo.
«La fotografia restituita dalla ricerca presentata quest’oggi ci conduce a prendere sempre più consapevolezza del fatto che gli attuali assetti di welfare non sono più in grado di rispondere ai nuovi bisogni socio-assistenziali della famiglie italiane, nonché ai cambiamenti strutturali dell’economia, ai trend demografici e al nuovo mercato del lavoro», ha detto Pierluigi Stefanini, Presidente di Unipol. «Il progetto “Welfare, Italia. Laboratorio per le nuove politiche sociali”, che quest’anno giunge alla seconda annualità, si pone l’obiettivo di riflettere in maniera permanente e di concerto con tutti i soggetti impegnati nel settore sulle modalità attraverso le quali rendere il sistema del welfare più efficiente, dunque strumento di sviluppo economico, occupazionale e di inclusione sociale», ha concluso Stefanini.
«Preoccupa quanto emerge da questa ricerca. Preoccupa e allarma perchè vi si legge un progressivo sgretolamento nel corso degli anni del ruolo del pubblico anche nel nostro territorio, falcidiato da una recessione economica senza precedenti», ha detto Claudio Di Berardino, Segretario Generale della Cgil Roma e Lazio. «Un vuoto di scelte e di strategie di cui si avverte sempre più la mancanza e che dovrebbero essere invece la base su cui costruire non solo soluzioni ai tanti drammi aperti dalla crisi, ma un nuovo modello di welfare, capace di includere e dare risposte ai disagi vissuti quotidianamente dalle famiglie. Le amministrazioni comunale e regionale devono tornare a valorizzare il servizio pubblico sociale e sanitario, a ragionare di eliminazione degli sprechi ma anche di una nuova politica della salute», ha concluso Di Berardino.