Salute, Parliamone Insieme
Ma come mangiamo? Se ne è discusso all'incontro sul ciclo "Salute, parliamone insieme"
Prossimo appuntamento il 18 novembre.
Ecco alcune foto della serata:
Scarica la locandina in formato PDF (1MB)
LOCANDINA-INCONTRI-SALUTE-TRENTO
Tornare a crescere e sviluppare il welfare
PRESENTATO A ROMA IL 19 OTTOBRE 2015 IL RAPPORTO “WELFARE, ITALIA. LABORATORIO PER LE NUOVE POLITICHE SOCIALI OSSERVATORIO LAZIO” DI UNIPOL E CENSIS
Lo studio realizzato dal Censis per il Consiglio Regionale Unipol del Lazio nell’ambito del Programma poliennale Welfare Italia, è stato presentato il 19 ottobre a Roma dal Presidente del CRU Lazio Claudio Di Berardino e Giuseppe Roma, senior advisor della Fondazione Censis e discusso dal Presidente di Gruppo Unipol Pierluigi Stefanini, dall’ Assessore alle Politiche Sociali e Sport della Regione Lazio Rita Visini e da esponenti delle istituzioni, delle forze sociali e delle imprese laziali.
Le principali conclusioni emerse sono relative alla crescita delle domande di welfare nel Lazio, anche se è ancora lenta l’integrazione fra i diversi strumenti di protezione sociale: pubblici, del non profit, assicurativi e privati. Inoltre gran parte del carico assistenziale ricade sulle spalle delle istituzioni e delle famiglie, le cui risorse finanziarie, al contrario, tendono a diminuire. E’ per tanto indispensabile dare maggiore impulso a un welfare integrato che sappia combinare istituzioni, sviluppo economico e reti territoriali.
Dal 2010 Gruppo Unipol e la Fondazione Censis collaborano al progetto “Welfare, Italia. Laboratorio per le nuove Politiche Sociali”, nell’ambito del quale realizzano approfondimenti e ricerche e periodicamente organizzano momenti di confronto e riflessione con gli stakeholder sui temi del welfare e delle politiche sociali. Accanto ad una visione di sistema, proposta dall’annuale Rapporto sullo stato dei sistemi di welfare in Italia, il progetto adotta anche un approccio territoriale che permette di indagare sulle dinamiche socio-economiche delle eterogenee realtà locali del Paese.
Partendo dai risultati della ricerca, l’iniziativa intende, da un lato, centrare il focus sui nuovi equilibri e bisogni di protezione sociale che la crisi ha evidenziato nel territorio regionale, e dall’altro, alimentare la riflessione sulle nuove potenzialità di sviluppo e rilancio del Lazio che le aziende, gli attori istituzionali e gli stakeholder sociali concorrono ad alimentare. L’esigenza di avviare virtuosi processi di ripresa economica ed occupazionale, peraltro, può trovare proprio nella crescente, ma spesso inevasa, domanda di welfare integrativo una nuova e attraente occasione per far ripartire il territorio, ma in senso più ampio tutto il Paese.
Di seguito il comunicato stampa completo:
Crescono le domande di welfare nel Lazio, ma è ancora lenta l'integrazione fra i diversi strumenti di protezione sociale: pubblici, del non profit, assicurativi e privati. Gran parte del carico assistenziale ricade quindi sulle spalle delle istituzioni e delle famiglie, le cui risorse finanziarie, al contrario, tendono a diminuire. E' pertanto indispensabile dare maggiore impulso a un welfare integrato che sappia combinare istituzioni, sviluppo economico e reti territoriali.
Sono queste le principali conclusioni a cui è giunto lo studio realizzato dal Censis per il Consiglio Regionale Unipol nell'ambito del Programma poliennale Welfare Italia, presentato oggi a Roma dal Presidente del CRU Lazio Claudio Di Bernardino e Giuseppe Roma, senior advisor della Fondazione Censis e discusso dal Presidente di Unipol Pierluigi Stefanini, dal Presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti e da esponenti delle istituzioni, delle forze sociali e delle imprese laziali.
Nei prossimi 15 anni la popolazione del Lazio supererà i 6 milioni di residenti, ma soprattutto aumenterà l'incidenza della popolazione con piu' di 65 anni dall'attuale 20,5% al 24,8%, e in particolare, nel 2030, gli anziani supereranno di oltre 200mila unità i giovani fra 15-34 anni. Questa situazione pone problemi di sostenibilità al sistema sanitario e assistenziale, rendendo sempre più urgente l'adeguamento dei loro modelli di gestione. Inoltre, anche sotto questo profilo, si pone il problema di accelerare nelle politiche di sviluppo, perche' nella regione vi sia più occupazione e più reddito.
La dimensione lavoro tiene, anche se in peggioramento nell'ultimo periodo, ma con tassi d'occupazione troppo bassi, pari al 63% rispetto al 72% dell'Ile de France e della regione di Berlino e al 67% di quella di Madrid. Anche nel confronto con le altre Regioni dell'Italia Centrale si rilevano situazioni di maggior disagio: il 17,7% della popolazione laziale è a rischio di povertà, contro un valore medio del Centro pari al 15%. Tali condizioni reddituali portano i cittadini laziali a collocare ai primi posti nella lista delle loro preoccupazioni, unitamente al timore di non riuscire più a risparmiare (81,2%), il mantenimento del tenore di vita e la capacità di far fronte alle spese sanitarie (entrambi per ben il 71% degli intervistati). Anche a causa di tali paure il 33,2% ha rinunciato a cure mediche, qualche punto percentuale in piu' rispetto alla media nazionale del 31,3%.
Pagare nel privato, ma senza organizzazione. Il funzionamento della sanità regionale è giudicato buono dal 42,7% dei romani, valore leggermente superiore rispetto alla media nazionale pari al 41,7%. Di segno opposto il giudizio dei residenti nelle altre province, dove i pareri positivi riguardano il 20,1%. Inoltre, il 79,1% delle famiglie che hanno avuto bisogno di cure negli ultimi due anni, a causa delle lunghe liste d'attesa, si è rivolto alla sanità privata. Una spesa che grava sui cittadini, senza significativi recuperi fiscali e, soprattutto, senza un'adeguata organizzazione e intermediazione che ne possa massimizzare l'efficacia.
Nessuna strategia per i rischi futuri. Ben il 56,4% dei laziali, atteggiamento comune a molti italiani, dichiara che penserà a cosa fare nel momento in cui si materializzeranno i rischi relativi a salute, non autosufficienza e pensionistici. Un ulteriore 24,4% fa esclusivo affidamento sul welfare pubblico, il 21,3% sui risparmi, il 6,2% sull'aiuto familiare e il 6% su coperture assicurative.
Una maggiore attenzione per strumenti innovativi. Nonostante non sia ancora generalizzata una cultura della prevenzione dei rischi, il 41,5% dei romani e il 54,5% dei residenti nelle altre province si dichiarano interessati a strumenti integrativi in campo sanitario ove questi coprano l'intero nucleo familiare, rendano possibile la riduzione dei tempi d'attesa e ove le assicurazioni o i fondi valutino e garantiscano la qualità delle strutture sanitarie utilizzabili. In particolare il 56,7% trova interessanti le assicurazioni sanitarie per le visite specialistiche, il 25,3% per la diagnostica, il 24,7% per l'odontoiatria. Per quanto riguarda le forme di integrazione pensionistica la quota degli interessati scende al 18,9%.
Il programma dell'evento
Tornare a crescere e sviluppare il welfare
Nell’ambito dell’evento "Tornare a crescere e sviluppare il welfare: le opportunità dell’integrazione tra istituzioni economia e territorio" che si è svolto oggi a Roma, è stato presentato il rapporto “Welfare Italia, Laboratorio per le nuove politiche sociali Osservatorio Lazio” di Unipol e Censis. Il rapporto ha chiarito la necessità di adeguamento dei modelli di gestione del sistema sanitario e assistenziale: nel 2030 la popolazione del Lazio supererà i 6 milioni di residenti, con una crescita più sensibile della popolazione over 65 che, tra 15 anni, supererà di oltre 200mila unità i giovani fra 15-34 anni.
Per il 71% dei laziali la preoccupazione principale è l’impossibilità di risparmiare unita al mantenimento del tenore di vita e all’incapacità di far fronte alle spese mediche. Timori che, nel 33,2% dei casi, si traducono nella rinuncia a cure mediche.
Il 42,7% dei romani giudica positivamente il funzionamento della sanità regionale, percentuale superiore rispetto al 20,1% dei residenti nelle altre province laziali. A causa però dei lunghi tempi di attesa, il 79,1% dei laziali ricorre alla sanità privata.
Il 41,5% dei romani e il 54,5% dei residenti nelle altre province si dichiarano interessati a strumenti integrativi in campo sanitario.
All'evento hanno partecipato, tra gli altri, Pierluigi Stefanini, Presidente del Gruppo Unipol, Nicola Zingaretti, Presidente della Regione Lazio, Catia Tomasetti – Presidente Acea, Claudio Di Bernardino – Segretario Generale CGIL Roma e Lazio e Presidente CRU Lazio, Giuseppe Roma – senior advisor della Fondazione Censis, assieme a molti altri esponenti delle istituzioni, delle forze sociali e delle imprese laziali.
Scarica il PDF completo del Rapporto: Rapporto Tornare a crescere. Le opportunità dell’integrazione tra istituzioni economia e territorio. Focus sulle famiglie del Lazio(2015)
Unipol per il Clima
Parte da Torino il progetto pilota coordinato da Unipol per la prevenzione del rischio legato a catastrofi ambientali.
Il progetto Derris, investimento complessivo di 1.3 milioni di euro, prevede un piano di azioni congiunte pubblico-privato per ridurre al minimo i danni causati dal cambiamento climatico alle imprese italiane.
Torino è il primo comune italiano ad aderire a Derris, un progetto finalizzato alla prevenzione e riduzione del rischio nelle piccole e medie imprese derivante da eventi ambientali legati al cambiamento climatico come alluvioni, smottamenti, siccità, tifoni.
Il progetto Derris, che vede il Gruppo Unipol capofila insieme ai partner Città di Torino, Cineas, Anci e Coordinamento Agende 21, prevede la realizzazione di una serie di azioni per trasferire competenze di valutazione e gestione del rischio, la costruzione e diffusione di strumenti per ridurre al minimo i danni per le singole aziende e per i distretti di imprese che verranno testati con le imprese residenti sul territorio di Torino per essere poi diffusi in tutto il paese.
Derris prevede un investimento complessivo iniziale di 1.3 milioni di euro, in parte cofinanziato dalla Commissione Europea all’interno del programma Life+.
Nello specifico si prevede di realizzare:
1 strumento per l’autovalutazione dei rischi;
1 strumento finanziario per sostenere le misure di adattamento al cambiamento climatico;
1 modello di Partnership Pubblico-Privato per la resilienza.
Per quanto riguarda il territorio torinese il calendario di azioni prevede una prima fase (settembre 2015 – ottobre 2016) di analisi e un primo report sulla vulnerabilità complessiva del territorio, e l’identificazione delle aree industriali in cui concentrare l’azione pilota.
Sulla base di questi dati preliminari, il Gruppo Unipol organizzerà delle sessioni per spiegare il progetto e coinvolgere le imprese. Contestualmente sempre con il supporto degli esperti di Risk Management di Unipol verrà realizzato uno strumento in grado di auto valutare il rischio da parte delle PMI in particolare e per elaborare una prima indicazione degli accorgimenti gestionali per prevenire le emergenze.
Successivamente (luglio 2016 – ottobre 2017) Cineas, consorzio universitario no profit, impegnato nella diffusione della cultura del rischio, avvierà un piano di formazione per imprenditori e amministratori pubblici sui rischi legati al cambiamento climatico.
In seguito a partire da luglio 2016 la Città di Torino elaborerà un piano di adattamento, da applicare ad ogni azienda che avrà aderito al progetto (CAAP) e un piano di adattamento di distretto per l’area in cui le imprese sono insediate (IDAP).
Nel corso del progetto Unipol coordinerà un gruppo di lavoro che, attraverso workshop ed interviste con i principali stakeholder, definirà lo strumento finanziario adatto a raccogliere capitali per finanziare la messa in sicurezza delle aziende e dei territori.
Entro la fine del progetto l’ANCI redigerà un documento destinato al Parlamento Italiano ed Europeo in cui saranno riportati gli esiti dello studio, le carenze rilevate e le possibili soluzioni
Infine Coordinamento Agende 21 faciliterà il processo di creazione di una community per l’adattamento in cui coinvolgere nuove PA e nuove imprese che beneficeranno del percorso e degli strumenti per la riduzione del rischio e aumento della resilienza sviluppati dal progetto.
La scelta di Torino quale città pilota del progetto si motiva con la lunga tradizione industriale e con la ancora consistente presenza di un tessuto produttivo avanzato. Il territorio ha già vissuto esperienze traumatiche a causa delle conseguenze di eventi meteorologici estremi, come avvenne con l’alluvione di 15 anni fa. La Città di Torino è, inoltre, parte attiva nelle politiche europee sui cambiamenti climatici, con l’adesione al Patto dei Sindaci e Mayors Adapt e con la redazione dei relativi Piani d’Azione.
L’Italia rappresenta una delle aree più vulnerabili agli impatti attesi dai cambiamenti climatici, secondo uno studio (Desiato et al, 2014 ISAC-CNR) l’aumento della temperatura media è superiore a quello globale ed europeo. In uno scenario di aumento della temperatura entro il 2050 di circa 0,93°, i danni provocati dai cambiamenti climatici potrebbero essere pari al 0,12 – 0,16% del PIL, ammontando a circa 20-30 miliardi di Euro di mancata produzione di beni e servizi con riferimento al PIL del 2009 (Carraro 2008).)
L’obiettivo di Unipol e dei suoi partner è diffondere strumenti e competenze per la valutazione dei rischi, la definizione di piani di disaster recovery per le aree più a rischio.
L’attuale sistema italiano non ha finora previsto l’accantonamento di riserve per far fronte agli eventi catastrofali e ciò determina il fatto che le risorse necessarie per sbloccare gli indennizzi debbano essere individuate di volta in volta, generando grandi difficoltà soprattutto per le PMI.
Senza un intervento pubblico centrale che crei le condizioni per lo sviluppo di un mercato di supporto l’offerta di prodotti di protezione per le catastrofi naturali si limita a un’azione di solidarietà con il territorio che non ha una sostenibilità economica sicura.
Scarica il documento "UNIPOL per il clima: IL CAMBIAMENTO CLIMATICO E IL RUOLO DELLE ASSICURAZIONI IN ITALIA" in formato PDF (4,8MB) "UNIPOL_Clima"
L’impresa contro le disuguaglianze
L’economia sociale in Europa occupa più di 14,5 milioni di lavoratori retribuiti, pari a circa il 7,4% dell’occupazione dell’unione a 15 stati, con un trend di crescita costante, aiutato anche dalle iniziativa della stessa Unione Europea che vede per l’imprenditoria sociale un ruolo di prospettiva. Su questi temi e sul rapporto fra essi e le grandi imprese il Gruppo Unipol promuove una riflessione, nell’ambito della presentazione del proprio bilancio di sostenibilità, raccogliendo la sfida a misurarsi sulle problematiche dei nuovi bisogni e delle nuove responsabilità.
Il Gruppo bolognese, divenuto uno dei player dell’economia nazionale, riafferma in tal modo il proprio radicamento nella solidarietà e nella promozione di progetti di forte utilità sociale. Il Presidente Pierluigi Stefanini sarà a Firenze per ricordare che “la crisi e l’aumento delle disuguaglianze, insieme alle grandi trasformazioni sociali e tecnologiche, fanno emergere nuove esigenze e bisogni, che richiedono una profonda modifica del sistema di protezione”. Il tema 2015 dunque è “Il No Profit & le grandi imprese”.
Quindi la sede scelta non è certo casuale. Si tratta dell’Auditorium Florence Learning Center (Nuovo Pignone, in Via Perfetti Ricasoli, 78 a Firenze, martedì 22 settembre, inizio previsto alle ore 10.00) e parteciperanno una serie di protagonisti impegnati in prima fila, accolti da Massimo Messeri, neopresidente fiorentino di Confindustria e Massimo Biagioni, Presidente del CRU, Consiglio Regionale Unipol della Toscana, che è lo strumento di rappresentanza degli stakeholder del gruppo assicurativo-bancario.
Biagioni osserva che “Siccome non si può sempre chiedere solo agli altri, alla politica e alle istituzioni, Unipol ribadisce la volontà di fare la propria parte, concorrendo alla partita sul fronte del privato sociale, solidaristico e imprenditoriale”. Interverranno Mauro Magatti, professore di Sociologia alla Cattolica, Andrea Ceccherini, Provveditore della Misericordia, Alessandro Martini, Delegato toscano Caritas, Daniela Mori, Presidente Unicoop Firenze, Luca Testoni Eticanews. Conclusioni dell’Assessore regionale alla Salute, al welfare e all’integrazione socio- sanitaria Stefania Saccardi e Pierluigi Stefanini, Presidente Unipol.
Fonte: Consigli Regionali Unipol - Ufficio Stampa
Unipol e la Sostenibilità tra pubblico e privato
Continua la serie di incontri che il Gruppo Unipol dedica ai temi connessi alle politiche di responsabilità sociale, partendo dal proprio Bilancio di Sostenibilità del 2014, che puoi scaricare qui in formato PDF (2,6MB).
Il prossimo 7 luglio alle 17 a Bologna, nell’Aula Giorgio Prodi del Dipartimento di Storia Culture e Civiltà, dell’Alma Mater Studiorum, in Piazza S.Giovanni in Monte, 2, si terrà l’iniziativa dedicata a “Responsabilità sociale tra pubblico e privato. A confronto sulla Sostenibilità del Gruppo Unipol”.
Dopo il saluto di Vincenzo Colla, Presidente CRU dell’Emilia Romagna, Marisa Parmigiani, presenterà il Bilancio di Sostenibilità 2014; a seguire gli interventi di Stefano Bonaccini, Presidente Regione ER; Giuseppina Gualtieri, Presidente Tper; Matteo Lepore, Assessore alle Attività produttive di Bologna; Pierluigi Stefanini, Presidente del Gruppo Unipol; Adriano Turrini, Presidente Coop Adriatica e di Impronta Etica; coordinerà Luca Lambertini, docente al Dipartimento di Scienze Economiche, UniBo.
Made in Piemonte
Nel suo capannone sul Lago d’Orta, Katia assembla rubinetti per camper e barche, e contemporaneamente realizza con un orafo un rubinetto gioiello che fa sognare gli sceicchi nelle grandi fiere internazionali. Roberto, tra i vigneti del Roero, produce un Barolo che esporta in mezzo mondo e la sera intrattiene gli ospiti nel suo agriturismo relais. Enzo, dalla raccolta e trasformazione dei tappi di sughero usati produce materiali per la bioedilizia che vende on line. Donato investe in macchinari più efficienti e innovativi, per dare nuove chance all’impresa che fa meccanica di precisione del padre, nata nel garage di casa a Novara.
Sono i protagonisti della ricerca Made in Italy, Specialità piemontese, che Torino Nord Ovest ha scritto su incarico di Unipol, provando a fare una fotografia del mondo in cui si incrociano comparti con filiere, eccellenze con tessuti imprenditoriali localizzati, tradizioni artigianali con business globali. La ricerca è durata nove mesi di inteso lavoro di interviste, visite agli stabilimenti, più un laboratorio di idee itinerante, che ha coinvolto piccoli imprenditori e rappresentanze in tre appuntamenti molto partecipati in giro per il Piemonte. Erano occasioni di confronto fra addetti ai lavori, per fare emergere punti di vista, buone pratiche, nodi critici e opportunità da cogliere.
Al cuore della ricerca era la domanda sul futuro della manifattura piemontese, per verificare se i sedimenti della cultura della produzione, dell’organizzazione, della tecnologia che sono stati il segno distintivo di questo territorio gli consentiranno di ritagliarsi un ruolo nell’Italia industriale del post-crisi. E se il Piemonte sarà capace di contribuire attivamente al futuro del Made in Italy, che in questa regione ha molte imprese importanti e ha visto la nascita fenomeni – si pensi a Slow Food – che hanno contribuito a dotare di nuovi significati e immagini il prodotto italiano.
Le grandi industrie si sono ritirate, ma il Piemonte fa ancora parte del ristretto gruppo di regioni in cui la manifattura occupa oltre il 30% degli addetti. Il mix produttivo comprende auto, mezzi di trasporto e produzioni meccaniche (la principale specializzazione) e si esprime meno nelle manifatture leggere, con l’eccezione dell’agroalimentare e delle bevande. Sul territorio hanno sede oltre 10.700 imprese attive nei settori Made in Italy in senso stretto (manifatture leggere), che impiegano quasi 95.000 addetti: si tratta di un terzo delle aziende manifatturiere attive. Tra queste, la componente più numerosa è il settore alimentare e bevande, ma se si guarda al valore del prodotto e alla occupazione, pesa di più il Made in Italy ad alta tecnologia, che impiega oltre 160.000 persone – di cui quasi 100.000 nella produzione di auto, componenti e altri mezzi di trasporto. Considerando insieme i due gruppi, nella regione sono attive circa 14.500 imprese che impiegano 258.000 addetti.
Anche il Made in Italy piemontese si compone, come ovunque in Italia, di piccoli operatori. Il 70% delle imprese Made in Piemonte sono artigiane, dunque la prevalenza della grande industria nella regione si dimostra più che altro un mito. La crisi economica ha fortemente colpito il settore, se si pensa che, tra 2008 e il 2012, le imprese attive sono diminuite di 1.500 unità, e si sono alleggerite di 26.000 posti di lavoro. Nonostante tutto, esiste una minoranza robusta di operatori che ha saputo riposizionare il proprio business e crescere, e a fare la differenza è stata la capacità delle singole imprese di espandersi sui mercati internazionali: il Piemonte è da anni stabilmente quarta regione esportatrice in Italia.
L’identikit del made in piemonte, in dieci passi
- Gli imprenditori. Al centro dell’universo manifatturiero diffuso erano, e restano, gli imprenditori. Hanno radici forti, sempre (o quasi) figli di un contesto e di saperi, relazioni, appartenenze. Vedono il lavoro come passione durevole e l’impresa come progetto di vita. La famiglia ricoprire un ruolo cruciale, come incubatore delle competenze, come “investitore” fiduciario, come bacino di lavoro e sostegno materiale.
- Il prodotto. Le imprese sviluppano un prodotto proprio e mettono in campo strategie ibride di innovazione (incrementale/evolutiva/radicale), le quali dipendono dalle prerogative del “campo” in cui sono inserite. In genere, la logica comune vede le imprese muoversi da prodotti semplici a prodotti più complessi. Di norma si conferma l’orientamento alle “nicchie”: piccole serie, pezzi unici, tendenzialmente rivolti a segmenti “alti” del mercato.
- I confini. Le imprese esaminate allungano i confini dei propri mercati, e alcune vantano quote export superiori a metà del fatturato, mentre per altre le vendite estere costituiscono una frazione crescente. Le dimensioni piccole non sono più un ostacolo per vendere e tra loro le imprese collaborano più di quanto si creda, anche se la cooperazione è raramente formalizzata.
- Crisi e innovazione. L’impatto della crisi è stato importante per molte imprese, ma quasi tutte hanno saputo ristrutturare la formula imprenditoriale e aprire un nuovo ciclo. Ristrutturazioni, innovazione di processo, lancio di nuovi prodotti o adattamento di quelli esistenti sono le piste praticate. Gli anni di crisi sono divenuti un laboratorio ideativo per nuove vie, la crisi un acceleratore di riconversioni.
- Dimensioni d’impresa. L’esercito del Made in Italy rimane una fanteria leggera, con ampia prevalenza di imprese piccole (ma non troppo), più che medie. Il nucleo trainante mostra tuttavia di sapersi muovere verso prodotti e servizi che si appoggiano sulla qualità, il fashion, la creazione di significati, la smaterializzazione degli asset generativi di valore.
- Nuovi mercati. L’ampliamento dei confini operativi pone alle piccole imprese problemi inediti. Ad esempio, la velocità delle transazioni implica maggiore incertezza sul rispetto dei contratti e la necessità di affidarsi a dispositivi formali anziché fiduciari. Che sappiano garantire la qualità e l’affidabilità delle produzioni, la veridicità dei prodotti e il valore immateriale incorporato nel brand collettivo.
- Mostrarsi. Mostrare i propri prodotti, dotandosi di adeguate informazioni “pubbliche” costituisce sempre più la condizione necessaria per la partecipazione ai mercati. È diffusa la convinzione, tra molti operatori, che il web costituisca il vero canale di riferimento per la comunicazione commerciale.
- Capitale umano. Cresce la necessità di personale mediamente qualificato. L’impiego di operai specializzati con forti componenti di “capitale umano biografico” (basate cioè sull’esperienza e sui saperi taciti) appartiene alla storia del Made in Italy, mentre la novità è rappresentata dalla parziale svolta “cognitiva”: spesso i titolari ad essere in possesso di adeguati skill formali, ma sempre più spesso le imprese introducono in azienda personale con competenze importanti nei campi del design, marketing, comunicazione.
- Nuovi valori. Dall’originaria declinazione di “bello” “buono”, progressivamente il Made in Italy, si è arricchito di nuovi valori e concetti. Al centro c’è sempre la qualità del prodotto, ma questo incorpora anche l’idea del “pulito” e, se possibile, dello “smart”. Sembra maturata tra gli imprenditori la prospettiva della sostenibilità, l’idea di “rendere sostenibile la modernità”.
- Ecosistema. Infine, la qualità dell’ecosistema ha un valore irrinunciabile. A fronte della complessità ambientale e dei mercati, le imprese richiedono risorse esterne e beni collettivi che non sono in grado di generare dall’interno. Le storie delle imprese che ce la fanno testimoniano l’importanza di avere banche che danno fiducia, associazioni imprenditoriali proattive, buone scuole professionali, università e centri di ricerca, policy regionali efficaci, burocrazia locale efficiente, servizi qualificati e innovativi, oltre che sistemi di saperi e conoscenze tecniche capaci di trasferirsi per contaminazione. Questo capitale territoriale, nell’apparente evaporazione dei sistemi locali come bacini delle risorse per competere, e nel reale venire meno di reti fiduciarie tessute dalla condivisione della cultura d’origine, è il vero venture capitalist collettivo delle imprese del nuovo Made in Italy.
Fonte TNO Blog
Il video della ricerca
https://vimeo.com/126116791
Scarica l'Abstract in PDF (133kb): MadeInPiemonte_Abstract
Scarica il Factsheet in PDF (1MB): MadeInPiemonte_Factsheet
Invito 1° Appuntamento: Made-in-Piemonte_ECONOMIA-DELLA-TERRA_1.12.14
Invito 2° Appuntamento: Made-in-Piemonte_ECONOMIA-DELLA-NUOVA-FABBRICA_27.1.14
Invito 3° Appuntamento: Made-in-Piemonte_ECONOMIA-DELLA-GRIFFE_16.2.14
Sicurstrada Live 2015 a Olbia
Venerdì 13 marzo 2015 è stato consegnato al Liceo “Lorenzo Mossa” di Olbia il contributo di UnipolSai per la ricostruzione del campo sportivo danneggiato nell’alluvione del 2013. Con Unipolis/Sicurstrada si è parlato di sicurezza stradale e mobilità sostenibile.
Nella mattinata si sono svolti due momenti significativi a partire dalle ore 11,20 quando UnipolSai ha consegnato un contributo per la ricostruzione del campetto sportivo polivalente danneggiato dalla alluvione del novembre 2013. Hanno partecipato Luigi Antolini – Dirigente Liceo Scientifico “L. Mossa” di Olbia, Aleardo Benuzzi – UnipolSai Assicurazioni, Gabriella Caria – Presidente CRU Sardegna, Antonio Piredda – Rappresentante studenti.
Successivamente, dalle 11,40 alle 13, si è svolto un incontro promosso insieme a Fondazione Unipolis e Sicurstrada sul tema “La sicurezza stradale e al mobilità sostenibile”, al quale hanno preso parte: Ivana Russo – Assessore alla sicurezza Comune di Olbia, Gianni Serra – Comandante Polizia locale di Olbia, Giordano Biserni – Presidente Associazione sostenitori ed amici della Polizia stradale, Fausto Sacchelli – Fondazione Unipolis.
All’iniziativa hanno partecipato gli alunni delle classi III, i temi affrontati sono stati quelli della guida sicura e della mobilità sostenibile, con particolare attenzione all’utenza più vulnerabile della strada – pedoni, ciclisti, anziani, giovani.
L’obiettivo è stato far riflettere i giovani che guidano il motorino o che sono neopatentati sui rischi che corrono per sé e per gli altri quando adottano uno stile di guida non virtuoso, a causa del non rispetto delle regole, della velocità elevata, dell’assunzione di alcol e di sostanze stupefacenti. Inoltre è stata l’occasione di confrontarsi sul tema della mobilità sostenibile.
Fondazione Unipolis e Unipol, con il progetto Sicurstrada, sviluppano il loro impegno per far crescere la cultura della sicurezza stradale mettendo al centro gli utenti più deboli della strada: pedoni e ciclisti, così come verso i giovani che, insieme agli anziani, sono quelli maggiormente colpiti. Infatti, parlare oggi di sicurezza stradale significa affrontare, in primo luogo, i problemi di una mobilità sostenibile e di un nuovo assetto urbano.
Nel corso dell’iniziativa sono stati proiettati filmati e spot italiani e stranieri, e distribuito materiale informativo realizzato nell’ambito del Progetto Sicurstrada di Fondazione Unipolis.
Il video:
https://vimeo.com/124332947
L'invito in PDF (370kb) Sicurstrada Olbia
Integrare il welfare, sviluppare la White Economy: prospettive del modello emiliano
Si è svolto a Bologna il convegno “Integrare il welfare, sviluppare la white economy” promosso da Unipol Emilia Romagna e Censis per discutere degli strumenti di welfare pubblici e privati che possano, oltre che dare risposte ai cittadini, rilanciare la crescita economica e l’occupazione. Durante il convegno è stato anche presentato il rapporto “Welfare Italia. Focus sulle famiglie dell’Emilia Romagna” che racconta lo stato del welfare della regione, individuando importanti suggerimenti per le scelte future.
Le famiglie emiliane nel rapporto Welfare Italia
Nonostante la lunga crisi non abbia risparmiato il territorio regionale, il 42,3% delle famiglie in Emilia Romagna valuta la propria condizione economica “solida” - una quota superiore al 31,2% della media nazionale. Tuttavia, si rileva una crescente preoccupazione per il futuro. Nella fase attuale, in particolare, i timori delle famiglie tendono a concentrarsi sulla difficoltà a risparmiare, ma più che verso un risparmio fine a se stesso la preoccupazione principale sembra riferita alla capacità di affrontare le spese mediche. Un dato che, secondo Giuseppe Roma del Censis, “ci indica quanto siano cambiati i consumi”, ora più orientati verso la ricerca del benessere psico-fisico piuttosto che sui tradizionali beni di consumo. Un dato che offre importanti indicazioni sulle scelte economiche che diversi operatori dovranno intraprendere in futuro.
Nonostante il giudizio sulla sanità pubblica in Emilia-Romagna sia positivo (per il 55% funziona bene contro il 41,7% della media italiana), il 78,2% di chi nell’ultimo anno è ricorso a cure mediche ha utilizzato la sanità privata in misura pressoché analoga a quanto succede nel resto d’Italia (77,5%). La principale ragione del ricorso al privato è individuata nelle lunghe liste d’attesa (74,4%), seguita dalla possibilità di scegliere il medico di fiducia (22,3%). Con sorpresa emerge, invece, che la flessibilità degli orari che il privato può offrire, non muova più di tanto la domanda di sanità (1,7%).
Dati che, secondo Roma, non vanno sottovalutati: “In Italia si spendono 27 miliardi di euro per la sanità privata. In Emilia-Romagna la cifra è pari a 2,1 miliardi di euro. Se a questi si aggiungono 1,4 miliardi di euro per l’assistenza, significa che le famiglie spendono circa 3,5 miliardi di euro di tasca propria. È un’integrazione strisciante che va riportata nell’alveo di un’organizzazione, creando quella che noi chiamiamo white economy”.
Sul welfare integrativo la regione presenta condizioni piuttosto complesse. Se, infatti, la diffusione di strumenti finalizzati a integrare il trattamento pensionistico e le prestazioni sanitarie si dimostra in linea col Paese, quando non superiore per alcuni segmenti, è anche vero che i margini per una ulteriore penetrazione di questi prodotti sembrano non proprio allettanti in prospettiva, a fronte di un mercato italiano che invece appare più dinamico.
Sul lato della previdenza integrativa sono più numerose le famiglie emiliano-romagnole che hanno aderito a fondi pensione integrativi aziendali (10,8%) rispetto a quanto si verifichi nel resto del Paese (8,8%), mentre non si riscontrano grosse differenze per quanto concerne gli strumenti previdenziali ad adesione individuale (11% a fronte del 10,2% a livello nazionale).
Sul versante della sanità integrativa le famiglie emiliano-romagnole tendono a concentrare il loro interesse verso le assicurazioni sanitarie private individuali (6,3%), i piani sanitari aziendali (7,2%) e le mutue sanitarie integrative (3,2%), che sono possedute da un numero di famiglie più ampio rispetto al resto del Paese, ma anche in questo caso non sembra ci siano ampie chances di crescita.
Ciò si deve, da un lato, agli elevati costi di acquisto, dall’altro – ad esempio sul fronte integrativo - risulta ampio il bacino di famiglie che pur volendo aderire a fondi o sottoscrivere prodotti assicurativi ne è di fatto impossibilitato, spesso a causa di lacune in termini di conoscenze.
Rilanciare il welfare per rilanciare occupazione e economia
“Il welfare va inteso non solo come strumento di protezione sociale, ma anche come leva per aiutare la crescita, l’occupazione e lo sviluppo di attività legate al benessere di tutti i cittadini”. Lo ha detto il presidente della Regione Emilia Romagna Stefano Bonaccini, spiegando che la Regione, nonostante i pesanti tagli dei trasferimenti statali, ha confermato il proprio sostegno ai servizi sul territorio. Secondo uno studio della Fondazione economica Rosselli, riportato dal Sole 24 Ore, l’Emilia Romagna si è affermata come la terza regione in Europa per eccellenza sanitaria e qualità dei servizi. “Da Piacenza a Rimini, abbiamo quasi 130mila persone assistite a domicilio e oltre 15mila famiglie che usufruiscono degli assegni di cura; negli oltre mille nidi dell’Emilia-Romagna, siamo arrivati quasi il 34% di posti coperti rispetto al totale dei potenziali utenti”. Fattori che per Bonaccini hanno contribuito al perseguimento di un buon tasso di occupazione femminile, a dimostrazione di come i servizi generino un impatto positivo sul lavoro.
Questa qualità nell’offerta di servizi tuttavia, per mantenersi tale, avrà bisogno della partecipazione responsabile di tutti gli attori, sia pubblici che privati, attraverso la definizione di “standard” di gestione e fabbisogni correlati. “E’ una sfida, la nostra, che va oltre agli assunti ideologici del passato, per cui pubblico è positivo e privato è speculazione, o viceversa il pubblico è inefficiente e tende a sprecare, per cui sarebbe meglio orientarsi a un privato efficiente” prosegue Bonaccini. “Solo in questo modo potremo rimodulare un welfare realmente di comunità e partecipato, basato su una forte presenza di garanzia del “pubblico” e, contemporaneamente, sul coinvolgimento e la partecipazione delle parti sociali, del terzo settore, con il pieno coinvolgimento del volontariato. Solo così potremmo realmente affrontare le sfide di una società – la nostra – che è già cambiata e che continuerà a cambiare”.
“Da una virtuosa integrazione pubblico-privata, unita alla valorizzazione dell’economia della salute, dell’assistenza e del benessere della persona, può scaturire un forte cambiamento di tipo produttivo e occupazionale utile al rilancio economico e sociale del Paese”, ha concluso Pierluigi Stefanini, Presidente Gruppo Unipol.
Garantire l’universalismo ed evitare la “dualizzazione”
Idea condivisa è che sia necessario fare attenzione affinché questo nuovo assetto non generi dualizzazione tra garantiti e non, non determini un “welfare a tempo determinato”, replicando le distorsioni già presenti nel mercato del lavoro e nella distribuzione del reddito. L’attuale “erosione” del ceto medio e la perdita della sua omogeneità richiedono infatti interventi innovativi anche sul fronte del welfare – alla stregua di quanto accade sul fronte della povertà.
Una soluzione potrebbe essere allora quella di ragionare a livello territoriale, come spiegato da Fiammetta Fabris, Direttore Generale di UniSalute: “Dobbiamo cogliere le opportunità che ci sono per dare avvio all’istituzione di fondi integrativi del servizio sanitario nazionale, su specifiche tematiche, anche a carattere territoriale. E’ necessario che siano aperti, cioè non riservati a specifici gruppi di lavoratori o di professionisti, ma rivolti a tutti i cittadini”.
Discorso che si inserisce nel percorso già avviato in materia di non autosufficienza, dove si sta provando ad operare su 3 livelli: 1) la costituzione di un fondo integrativo territoriale (su base regionale) per la non-autosufficienza che non faccia riferimento a specifici gruppi (di lavoratori) ma all’intera cittadinanza, a triplice finanziamento (welfare aziendale, risorse pubbliche e finanziamento dei cittadini su base volontaria); 2) l’introduzione dei buoni servizio; 3) la valorizzazione e il sostegno dei caregiver familiari, già avviata con la legge regionale sul caregiver familiare.
Articolo di Chiara Lodi Rizzini
Fonte Secondowelfare.it
Rassegna stampa
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