Intervento Giovanna Castagna – 5° Assemblea Nazionale
INTERVENTO DI GIOVANNA CASTAGNA
PRESIDENTE CRU UNIPOL – SICILIA
Il legame tra il mondo assicurativo nella sua interezza e le imprese, al di là della loro specificità produttiva, è certamente indispensabile e declinabile in varie forme a seconda della peculiarità aziendale e troppo spesso dell'ubicazione territoriale delle stesse. Credo pertanto che in prima analisi dovrebbe essere in qualche modo equilibrato il rapporto territoriale tra costo e rischio, occorre cioè creare le condizioni affinché le disparità di opportunità siano ridotte al minimo: questo dal canto suo produce come effetto immediato opportunità di ampliamento per il gruppo, ampliamento non solo in termini numerici ma anche possibilmente in tipologie di servizi offerti.
Nel settore agricolo, ma lo stesso in forme diverse vale per altri settori, occorre certamente definire il ruolo delle assicurazioni, da un lato rispetto alle imprese e dall’altro rispetto al mondo amministrativo: se è vero come è vero che l'impresa deve sempre affidare la propria credibilità finanziaria al mondo assicurativo è anche vero che l'amministrazione deve tutelarsi rispetto alle imprese attraverso il mondo assicurativo; pertanto occorrerebbe regolare in modo meno arbitrario questo rapporto affinché non vengano meno tutele e servizi e allo stesso tempo l'impresa non sia costretta a sottostare alle speculazioni di turno o, ancora peggio, non sia costretta ad affidarsi a poco credibili agenzie delle quali poco o nulla conosce e che spesso non risultano essere efficienti e puntuali.
Per quei comparti per i quali le amministrazioni non offrono sostegno in quanto potenzialmente tutelati dai gruppi assicurativi occorre studiare pacchetti specifici, con preventiva collaborazione progettuale tra gruppo assicurativo e organismo amministrativo, al fine di favorire la diffusione di servizi che seppure non obbligatori ma complementari, si rivelano indispensabili strumenti per le imprese, a volte di vitale importanza e al tempo stesso, laddove si riescono ad individuare le condizioni, favorire un dialogo col mondo amministrativo che ambisca ad un reale processo di crescita per le imprese e, va da se, uno sviluppo economico che inevitabilmente si ripercuote su ogni ambito.
Queste sono alcune opportunità da poter cogliere e mettere a frutto e sono opportunità bidirezionali, sono cioè opportunità a cui le aziende tendono ed opportunità che il gruppo potrebbe e dovrebbe cogliere per una più completa linea di servizi offerti alle aziende, essendo oltretutto uno dei pochi gruppi che
può vantare solidità, storicità e tradizione mutualistica consolidata, oltre ad una linea pressoché completa di servizi assicurativi e finanziari.
All’interno di queste e altre possibili azioni si colloca e rafforza il ruolo dei CRU, che per composizione sono deputati alla rappresentanza degli interessi delle imprese anche con funzioni di mediazione con le istituzioni e in tale contesto si rivelano portatori di interessi che possono in questa direzione rivelarsi opportunità di crescita e sviluppo sostenibile e, credo di poter affermare con certezza, più che auspicabile. Un progetto complessivo e ramificato, declinato poi sulle singole realtà territoriali, risulta possibile e percorribile, un progetto che già da oggi pone le basi di una nuova visione e funzione dei CRU.
Intervento Carmelo Rollo – 5° Assemblea Nazionale
INTERVENTO DI CARMELO ROLLO
PRESIDENTE CRU UNIPOL – PUGLIA
Non so voi…sarà l’età, sarà che un po’ ne ho viste in questi anni (e non sempre di cose belle), sarà che il momento storico che viviamo è quantomai particolare, sarà che le nuove generazioni di oggi hanno davvero qualcosa in più rispetto al passato…ma io sento una enorme responsabilità. Non so se la avvertite anche voi e se non la avvertite un po’ mi preoccupa come cosa.
Vedete…l’anno scorso mi sono battuto per attivare nella mia regione un percorso di promozione di nuova cooperazione (le cosiddette startup che ormai conoscete tutti). E’ stata un’esperienza fantastica. Siamo stati letteralmente investiti da un’ondata di idee, progetti, di ambizioni, sogni, di quei sogni che solo a vent’anni si possono fare. Ho potuto toccare con mano l’altissimo livello di preparazione che hanno i nostri giovani, la formidabile determinazione che anima il loro agire quotidiano.
Noi non abbiamo fatto altro che dire: ragazzi se avete un’idea non tenetevela per voi ma condividetela, mettetela in comune prima con i vostri amici, soci, compagni di viaggio e poi fatecela conoscere, raccontatecela, perché forse è un’idea di impresa che a noi potrebbe interessare e sulla quale ci piacerebbe puntare.
Gli abbiamo detto che la cooperazione è un movimento (UN ECOSISTEMA come si dice oggi), un COMUNITA’ come piace dire a me. E siamo anche un’opportunità, perché se è vero che oggi c’è chi sostiene che la SHARING ECONOMY apra scenari inimmaginabili, è vero anche che i valori e i modelli della sharing economy, quella che ha a che fare con il “mettere in comune”, con la condivisione, con l’innovazione sociale, con la creazione di valore e non con l’estrazione e lo sfruttamento di valori oltreché di valore, questa sharing economy, quella buona, è nel DNA della cooperazione italiana da sempre.
Abbiamo detto ai giovani di crederci, di mettersi in gioco, di fare impresa, di credere nel lavoro e nella possibilità di crearselo ma anche nell’impatto che ciò che vogliono fare può e deve avere nella società.
Bhè, Signori, questa è la responsabilità di cui vi parlavo e che sento. Perché ci hanno creduto, si sono messi in gioco, hanno presentato decine di proposte di impresa e noi li stiamo sostenendo. E quello che abbiamo fatto noi in Puglia lo state facendo, chi più chi meno, anche voi nelle vostre regioni e a livello nazionale attraverso varie formule e sotto vari nomi, le startup, le coopstartup, i culturability e chi più ne ha più ne metta.
Noi abbiamo l’enorme responsabilità di aver chiesto alle nuove generazioni di crederci e di provarci. Ora non possiamo più e solo dire loro che il nostro ruolo è quello di farli partire, offrendo un seppur utile ma simbolico sostegno economico di lancio.
La responsabilità del movimento cooperativo tutto e di chi si fregia del privilegio di esserne il dirigente è quella di sostenere queste imprese nelle diverse fasi che sono successive all’entusiasmo dell’inizio, dello startup. Dobbiamo lavorare per individuare il modo migliore, gli strumenti più efficaci, per far si che questi giovani, queste idee innovative, solidali, cooperative, mutualistiche, in grado di cambiare davvero il volto del nostro paese, possano svilupparsi ma soprattutto CONSOLIDARSI e non essere una breve, simpatica, affascinante “narrazione” ma la vera svolta, il vero contributo che noi possiamo lasciare per il cambiamento e per il bene comune di cui tanto ci riempiamo la bocca nelle nostre splendide riunioni.
Quali sono gli strumenti che stiamo dando loro? Quali sono i metodi che stiamo individuando per fare in modo che dopo avergli detto di credere nella cooperazione come forma di impresa che unisce tradizione e innovazione, poi possano continuare a farlo, possano diventare “grandi”.
Disegnare il futuro non basta più, dobbiamo costruirlo, dobbiamo avvertire la responsabilità di essere quelli a cui è data la possibilità di farlo.
La domanda che ci fanno è di poter competere sul mercato, poter essere davvero impresa e dialogare con chi ha già esperienza, per crescere, e allo stesso tempo mettersi a disposizione. Chiedono di poter lavorare, di poter accedere al credito, di poter investire sulle proprie competenze, ci chiedono di poter incontrare nuovi mercati, di potersi misurare sulla base di idee innovative che hanno bisogno di sostegno a medio-lungo termine. Ci chiedono di poter competere sui mercati internazionali, di potersi misurare rispetto ai valori ma anche rispetto ai fatturati.
Siamo stati noi a chiedere a loro di crederci. Ora sono loro che ci chiedono di fare lo stesso.
Dobbiamo essere grati a questi giovani non solo perché sono il futuro ma perché grazie a loro il nostro ruolo oggi può avere un senso. E’ una responsabilità enorme ma non si può tornare più indietro. Dobbiamo prendercela.
Intervento Stefano Mastrovincenzo – 5° Assemblea Nazionale
INTERVENTO DI STEFANO MASTROVINCENZO
PRESIDENTE CRU UNIPOL – MARCHE
Ringrazio per l’invito a portare un contributo; il titolo della giornata odierna “Nessuno deve essere lasciato solo” sollecita in primo luogo un’attenzione prevalentemente etica, ispirata alla solidarietà; vi si intravede anche una forte ispirazione sociale che, come ricordava Benuzzi nel suo intervento, caratterizza Unipol fin dalle origini ed è strutturalmente nel Dna delle organizzazioni socie; ma ha anche una forte implicazione economica; i costi complessivi per affrontare esclusione e povertà in ogni comunità territoriale sono enormi.
Noi qui presenti abbiamo la consapevolezza che motivazioni etiche, sociali, economiche, ci impegnano a rinnovare un patto di azione congiunta per far sì che nessuno sia solo.
Vengo dalle Marche regione che ha affrontato, come altri territori italiani, anni difficili; la consolidata immagine di regione della laboriosità, della coesione sociale, del vivere bene, si è andata via via appannando.
La crisi è andata a sommarsi ad una situazione di difficoltà strutturale rispetto ai fattori che avevano portato alla ascesa degli ultimi decenni del secolo scorso e all’instaurarsi dei miti marchigiani del “piccolo è bello” e dello “sviluppo senza fratture”.
Una fase si è conclusa e pur in presenza di alcuni segnali esterni positivi, non si intravede l’avvio di un nuovo ciclo di trasformazione e dinamismo socio-economico : i consumi ripartono lentamente, il credito è ancora stagnante, la capacità di spesa delle amministrazioni locali si riduce, sugli investimenti interni ed esteri ci sono previsioni al ribasso.
Se aggiungiamo la specializzazione prevalente in settori produttivi tradizionali, la scarsa managerializzazione delle imprese, difficoltà nel ricambio generazionale, la riluttanza di molte piccole imprese ad accogliere persone con skill professionale elevato, servizi e dotazioni infrastrutturali immateriali non sufficienti, il piatto del declino possibile è servito.
Prendo a prestito il titolo di un libro di Massimo Recalcati “Non è piu’ come prima”, per dirmi e dirci che non possiamo indugiare nella nostalgia di tempi andati, di situazioni accadute che non si ripresenteranno. Al contempo non possiamo riporre speranze in grandi idee risolutrici o in pianificazioni miracolose.
In questo quadro si colloca la necessità di ricercare nuove fonti di valore e di sviluppo per le nostre comunità, per i nostri territori.
Alla razionale preoccupazione per il futuro, dobbiamo affiancare la capacità di valorizzare gli elementi di dinamismo e innovazione che pure sono presenti in una parte del sistema produttivo e sociale regionale e possono essere utili a riposizionare in modo efficace il sistema-Marche sulla catena del valore internazionale.
Credo che le Marche possano e debbano avere l’obiettivo prioritario di investire nel “capitale di rete” o “di connessione” sui territori: reti tra imprese, università, parti sociali e altre agenzie formative; reti tra città (sia per la gestione associata dei servizi che per cooperare ai fini dello sviluppo); reti tra pubblico e privato per l’innovazione digitale, reti tra servizi pubblici e privati per le politiche attive del lavoro.
Alla classe politica, che per anni ha mostrato i limiti di un eccesso di localismo e di un deficit di visione, si chiede oggi di svolgere un ruolo di “incubatore”, di “acceleratore” di questa costruzione di reti, con e tra i soggetti istituzionali, sociali ed economici del territorio.
Nella nuova programmazione comunitaria il beneficiario strategico dei fondi è proprio il territorio, inteso come attore sociale collettivo, capace di condividere scelte progettuali, interessi, risposte ai bisogni, per generare efficienza e limitare le disuguaglianze. Purtroppo in questa fase, al di là di atti formali, il partenariato non sembra purtroppo essere stato assunto come metodo di una vera programmazione “a rete” per condividere idee e progetti di sviluppo locale. Per questo come organizzazioni sociali, a partire da quelle dell’impresa e del lavoro, dobbiamo essere ancora piu’ consapevoli del valore e del potenziale generativo della nostra azione sussidiaria.
I temi al centro di questa importante giornata sono tutti pregnanti per i territori marchigiani e per la profonda riflessione che le nostre organizzazioni sociali devono fare nel contesto complesso in cui operano; riflessione che coinvolge necessariamente anche Unipol, ormai diventata non solo la prima realtà assicurativa italiana, ma anche un grande gruppo multisettoriale e plurispecialistico, con un potenziale di intervento davvero significativo.
In un’era di grandi e veloci cambiamenti, in cui complessità e incertezza sono elementi permanenti delle esistenze individuali e dei percorsi collettivi, in cui vengono ridisegnate appartenenze, legami, rappresentanze, reti di solidarietà, in cui si aprono ripensamenti dei saperi e delle relazioni tra le generazioni, il professor Lizzola parla di organizzazioni sociali chiamate a vivere un “tempo di esodo”.
Riconoscerci fragili, in esodo appunto, ci dà la possibilità di leggere, interpretare, prendere meglio in carico le vulnerabilità di coloro che a noi si rivolgono e delle loro famiglie; assumere questa consapevolezza vuol dire rafforzare la capacità di “farsi prossimi”, che è fondativa ed al contempo vitale sia per il sindacato confederale, che per le associazioni della piccola impresa che per una realtà come Unipol.
Da questa importante occasione odierna emerge l’esigenza di un maggior legame, di un piu’ organico collegamento tra Unipol e organizzazioni socie, anche e non solo attraverso i CRU, da un lato per contribuire ad individuare prospettive di nuovo sviluppo sostenibile ed equo per i nostri territori, dall’altro per rafforzare le reti di prossimità, per coltivare capitale di connessione, per rilanciare la capacità di soggetti economici e sociali di agire in modo solidale e sussidiario.
Il tutto perché davvero nessuno sia solo.
Intervento Pasquale Capellupo – 5° Assemblea Nazionale
INTERVENTO DI PASQUALE CAPELLUPO
PRESIDENTE CRU UNIPOL – CALABRIA
“C’è una casa nella periferia estrema di una città calabrese che non ha insegne, non ha campanello e nemmeno un segno di riconoscimento. Una casa anonima apparentemente, ma che non ha eguali nel mondo. Ci vivono bambine e adolescenti che sono state vittime di abusi sessuali e gravissimi maltrattamenti. Si riprendono la vita, lentamente, giorno dopo giorno, si riprendono il presente e il futuro in attesa di poter pensare al passato. Crescono e vanno via, in genere, ma qualcuna non ha dove tornare e resta ancora davanti al camino della Casa di Nilla. Tutte imparano a lavorare, per il dopo. Verrà un buon lavoro, ben retribuito, giustamente apprezzato, stabile magari. Intanto, è venuta un’idea. E gli educatori hanno iniziato a sporcarsi le mani di terra. Hanno messo su un’attività di agricoltura sociale e producono agrumi, ortaggi, miele, birra e vino. Un Greco di Bianco Doc. Dicono che il Greco di Bianco sia il vino più antico del mondo, antico quanto la lotta tra il bene e il male, quanto il dolore e la felicità. “
Il Neda, "il vino che fa bene ai bambini", lo produce Casa di Nilla, o meglio, la “Farm Casa di Nilla” che si occupa di una serie di attività di agricoltura sociale finalizzate alla produzione ed alla commercializzazione di vino, birra, miele, marmellate, agrumi ed ortaggi.
La Casa di Nilla invece è il Centro specialistico della Regione Calabria per la cura e la tutela di bambini e adolescenti vittime di abusi sessuali e gravissimi maltrattamenti. Unico nel suo genere nell’Italia meridionale, garantisce un approccio multidisciplinare, articolato sul piano clinico, sociale, educativo e giuridico, alla gestione del complesso fenomeno dell’abuso e del maltrattamento all’infanzia e all’adolescenza. La presa in carico ha una forte valenza terapeutica e riparativa ed è sempre finalizzata al rientro dei bambini in contesti familiari nel più breve tempo possibile.
Casa di Nilla produce, in Calabria tantissime, cose buone, per la delizia dei palati, ma anche dell'ottimo cibo per la coscienza dei calabresi.
Casa di Nilla è l’esempio plastico di come una comunità si organizza e si determina per proteggere la sua parte debole, per integrare quel welfare pubblico che sempre più si ritira, lasciando scoperte soprattutto le “marginalità” accentuate della società.
La Calabria ha una "narrazione" difficile, la nostra è una regione di cui si parla molto, ma forse si conosce poco.
La responsabilità, naturalmente, non è di chi la narra, se non nella parzialità e superficialità dell'approccio.
In un numero speciale de "Il Ponte" di Piero Calamandrei dell'ottobre 1950 la scrittrice partigiana Bolognese Renata Viganò, con lo sguardo lucido e attento di una donna che proveniva da oltre mille chilometri di distanza e che aveva fatto dell’impegno politico e sociale una ragione di vita, scrive:
"la gente di Calabria non è né rassegnata né disperata ….. le basta essere vista e capita com’è…Si guardano intorno gli uomini e le donne, e i vecchi e i bambini, e tutti sanno bene come rispondere alla propria angosciata domanda ”Perché siamo così?”. Lo sanno e ci vedono lontano, oltre i picchi, i costoni, le rocce del loro mondo relegato, fin verso i luoghi dove potrebbe essere la loro sorte nuova”.
La Calabria è terra di contrasti che non attengono solamente alla sua geografia fisica, ne solamente ai fenomeni sociali e culturali che la pervadono.
Giancarlo Rafele, direttore di Casa di Nilla e dirigente di Legacoop Calabria assieme a Nicola Fiorita, professore Unical e presidente di Slow Food Calabria, hanno pubblicato, da qualche settimana, un bellissimo libro dal titolo: "il bicchiere mezzo pieno".
I due si sono messi in viaggio per raccontare la Calabria attraverso i luoghi, i paesaggi, la storia, la cultura e, soprattutto, attraverso uomini e donne che non si arrendono alla burocrazia, al malaffare, agli intrighi di una terra che appare fatta di individualismi, invidie, gelosie e rivalità che, assieme alla ‘ndrangheta, ne strangolano lo sviluppo.
Ci raccontano dei Matti di Maròpati che coltivano Kiwi e seminano futuro, e come quelli di De André “vanno contenti, tra il campo e la ferrovia”, di SOS Rosarno, l’associazione di piccoli produttori nata con lo scopo di garantire i diritti dei lavoratori immigrati, di Fimmina TV la televisione che già nel nome ingaggia il duello con gli stereotipi, del Consorzio Terre del Sole che accoglie soggetti appartenenti alle cosiddette fasce deboli per il loro reinserimento lavorativo, naturalmente su terreni confiscati alla ‘ndrangheta, come quelli di “Terre Ioniche” di Isola Capo Rizzuto e “Valle del Marro” di Polistena, che poi sono le destinatarie del contributo di Unipol a “Libera Terra” e che accolgono nei campi estivi i dipendenti del Gruppo per esperienze di volontariato. E poi dei Cirò Boys, i giovani vignaioli del Cirotano, dei pochi contadini rimasti nell’alto Tirreno a coltivare il Cedro, il frutto della festa degli Ebrei, che i Rabbini vengono a raccogliere di persona, delle Clementine della Piana di Sibari. Sono attori collettivi, piccole comunità, quelle che si muovono e generano opportunità e capitale sociale (cooperazione, fiducia, reciprocità, reputazione) attraverso relazioni, sapere tacito, capacità di rigenerare e produrre beni collettivi all’interno di territori definiti e circoscritti.
Aleardo Benuzzi, ha parlato, nel suo intervento iniziale, del progetto elaborato da Unipol che il CRU sta realizzando in Calabria in collaborazione con l’Unical e Torino Nord Ovest.
Il titolo che abbiamo dato al progetto è “Economia della terra. Cibo, territorio, vocazioni, sviluppo in Calabria.”
Piuttosto che il solito catalogo delle “eccellenze”, l’intenzione è quella di approfondire lo stato dell’arte, le possibilità di sviluppo, la reazione alla crisi, gli adattamenti, le scelte operate dalle imprese in rapporto alla valorizzazione delle risorse territoriali e culturali della Calabria.
E’ già in corso UNA INDAGINE ESPLORATIVA attraverso la descrizione di 12 casi d’impresa ricostruiti attraverso interviste in profondità a imprenditori e artigiani calabresi, con storie di vita e professionali emblematiche. Una indagine esplorativa per fare il punto su un ecosistema in cui si muovono attori pubblici e privati, alla reciproca ricerca di opportunità di collaborazione e sviluppo.
Con il LABORATORIO DI RIFLESSIONE TERRITORIALE mettiamo assieme 50 operatori, distanti per provenienza e storia ma accomunati dall’interesse per l’economia della terra e il suo indotto.
A conclusione UN CONFRONTO PUBBLICO SULLO SVILUPPO con i rappresentanti delle istituzioni, delle imprese e della società civile, per discutere di uscita dalla crisi, risorse disponibili e crescita.
E’ il tentativo di un “racconto” finalmente normale della Calabria, un racconto che non mette in ombra i problemi e le negatività ma che ha la capacità di fondere la denuncia di mali endemici con le storie di una nuova Calabria che genera ogni giorno progetti e idee, che coltiva competenze ed esperienze, creatività e voglia di innovare, che contribuisca a mettere in rete le tante esperienze che solitamente si muovono e non trovano mai un quadro unitario cui far riferimento.
Gli ultimi rapporti, quello dello Svimez e quello dell’ISTAT, tratteggiano un quadro difficile per il Sud come d'altronde per il resto del Paese.
Il dato macroeconomico indica che in quanto a occupazione/reddito, e quindi a benessere e sicurezza, a consumi, a investimenti, se l’Italia arranca, il Sud continua a rimanere alla corda.
Eppure, ci dice il Censis nel Rapporto 2015, gli italiani si muovono, non più come collettività, certo non dentro un "progetto generale di sviluppo" che non esiste più da tempo, ma da singoli, all'interno magari di piccoli territori, o di piccoli gruppi sociali.
Sono le dinamiche che registriamo in Calabria e che si è cercato di tratteggiare nell’intervento.
Il presidente Stefanini, sollecitando la partecipazione a questa Assemblea, ci rassicura sul fatto che la nuova dimensione di Unipol non smarrirà il patrimonio di valori identitari e costitutivi del Gruppo e manterrà saldo il rapporto con le con le grandi organizzazioni del lavoro, delle PMI e delle cooperative.
Il salto dimensionale del Gruppo pone anche noi, stakeholder di riferimento, difronte a nuovi scenari e nuove responsabilità non solo rispetto al mercato dei servizi finanziari ma anche e soprattutto nei confronti del “sistema” Paese.
Partecipiamo, quindi, interessati, a questa riflessione sul ruolo e sulla funzione della “nuova” azienda di fronte alle incognite della “società del rischio”, al restringimento del welfare, al nuovo rapporto tra finanza ed economia, alla finalizzazione degli investimenti a sostegno dello sviluppo, nazionale e locale ed infine l’assunzione del paradigma della sostenibilità non già come vezzo filantropico ma come modello di policy aziendale e contributo alla sostenibilità dell’intero Paese.
Partecipiamo quindi, con una grande aspettativa e convinti che: #nessunodeveesserelasciatosolo non è un auspicio, ma un progetto ed un impegno di Unipol e del suo mondo - ce lo chiedono le ragazze e i bambini di Casa di Nilla.
Intervento Alba Lizzambri – 5° Assemblea Nazionale
INTERVENTO DI ALBA LIZZAMBRI
PRESIDENTE CRU UNIPOL –LIGURIA
Da tempo ci interroghiamo sulle condizioni di possibilità della partnership fra settore pubblico e privato che vorremmo ripensare in termine di efficacia, perché i servizi debbono rispondere adeguatamente ai bisogni/diritti dei cittadini con un costo sostenibile, ma anche di responsabilità dal momento che le risposte offerte, in quanto espressione di diritti sociali , concorrono all'instaurarsi di un clima di integrazione e mutuo riconoscimento degli attori sociali.
La regione che io rappresento, la Liguria, ha un’elevatissima percentuale di popolazione anziana, 28% la più alta in Europa e tra le più alte nel mondo.
Prendo in considerazione tre aspetti:
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L’invecchiamento della popolazione : è considerato un problema.
La popolazione attiva è molto anziana ( 47,8 anni è l’età media) e lo sarà sempre di più con le attuali norme pensionistiche con tutti i riflessi sul piano lavorativo. Inoltre, la longevità genera alti costi legati alla sistema sanitario e più in generale al sistema sociale.
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Le public utilities, erogando servizi a rete, sono un anello di congiunzione naturale fra politiche industriali pubbliche (ovvero scelte di politica economica) e soddisfacimento di bisogni sociali anche essenziali. Questi settori, però, rientrano, paradossalmente, fra i meno presidiati dai comuni, che, spesso, ne delegano la gestione al privato senza esercitare un ruolo di regolazione e soprattutto di controllo sull’efficacia ed efficienza del servizio reso.
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La sussidiarietà tra pubblico e privato affidata alla logica dell’appalto al massimo ribasso determina effetti deteriori: prendo l’esempio dei patronati del mondo sindacale che svolgono un servizio importantissimo verso le fasce più deboli della società, effettuando prestazioni che L’Inps non fa più perché onerose sotto molti profili ma è un lavoro che progressivamente è sempre meno riconosciuto.
Sono tre aspetti su cui una progettazione efficace e intelligente del rapporto pubblico-privato può incidere non soltanto sulla prestazione economica correlata al servizio erogato ma anche sul riconoscimento di fatto di un diritto sociale.
Come ?
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Affrontare il tema dell’invecchiamento della popolazione con una diversa consapevolezza degli strumenti necessari a garantirne i diritti, ha una ricaduta occupazionale nel medio e nel lungo periodo: formare profili professionali in grado di rispondere alle esigenze sanitari, assistenziali, sociali dell'anziano; produrre occupazione qualificata e riconosciuta per le fasce di popolazione più giovane.
Inoltre, la promozione di un modello di invecchiamento attivo, inteso come risorsa economica sociale e civile da valorizzare e non solo come risposta all'isolamento della persona anziana, si inserisce nella perfettamente nella triangolazione di privato-pubblico-comune da noi auspicata.
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I servizi a rete, le public utilities, sono importanti veicoli di politiche industriali per lo sviluppo locale e per garantire ai cittadini servizi efficienti ad un costo sostenibile. Ci sono servizi che per loro natura non sono profittevoli ( penso ad esempio al trasporto pubblico locale che in una regione orograficamente complicata come la Liguria dove, se non si garantisce il servizio, c’è il rischio di spopolamento del territorio, e l’abbandono genera a sua volta l’aggravarsi del dissesto idrogeologico ). Il caso ligure offre un esempio perspicuo di come le scelte pubbliche di politica economica dirette al soddisfacimento di bisogni sociali possono costituire un motore di sviluppo, crescita e integrazione. Come osserva l'economista Amatya Sen: «la democrazia politica e i diritti civili tendono a far crescere libertà di altro tipo […] oltre quella economica proprio perché danno voce […] a chi è in condizione di miseria o è più vulnerabile» (A. Sen, The Idea of Justice, Cambridge (Mass.), Harvard University Press, 2009).
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La logica originaria della sussidiarietà fra pubblico e privato era proprio quella di assicurare servizi efficienti ai cittadini al minor costo possibile. L’applicazione del solo concetto del minor costo al modello ha portato problemi pesanti nel sociale dove i servizi erogati sono sempre meno e di qualità scadente. Ora proviamo ad affrontarli tenendo in considerazione entrambi gli aspetti: soddisfazione dei bisogni/diritti e costo sostenibile. Nel caso dei servizi pubblici appaltati occorre ragionare per quanto riguarda l’aspetto economico nei termini di “offerta economicamente più vantaggiosa” e, per quanto riguarda il soddisfacimento di un bisogno , che lo sia con un’alta qualità.
I bisogni/diritti sono gli stessi di sempre, ma il modo di soddisfarli non può più essere quello del passato che ha dimostrato di non essere efficace.
Bisogna trovare per ogni cittadino una personale propria risposta e non dare a tutti i cittadini la stessa risposta, perché così in realtà non la stai dando a nessuno.
A tale proposito, Elinor Ostrom, Premio Nobel 2009, prospettando una soluzione che superasse la contrapposizione di stato e mercato, sosteneva che le comunità, intese come l’insieme degli appropriatori e degli utilizzatori delle risorse collettive sono in grado di gestire essi stessi i beni comuni in modo soddisfacente; “Il tema centrale del mio studio è il modo in cui un gruppo di soggetti economici che si trovano in una situazione di interdipendenza possono auto-organizzarsi per ottenere vantaggi collettivi permanenti, pur essendo tentati di sfruttare le risorse gratuitamente, evadere i contributi o comunque agire in modo opportunistico” (Governing the Commons. The Evolution of Institutions for Collective Action, Cambridge University Press (trad. it. Governare i beni collettivi, Marsilio editore, 2006). p.51).
I bisogni personali non sono più standardizzabili. I diritti devono essere uguali, ma per essere tali, la risposta a quei diritti deve essere diversa.
Intervento Giulio Fortuni – 5° Assemblea Nazionale
INTERVENTO DI GIULIO FORTUNI
PRESIDENTE CRU UNIPOL – VENETO
COMUNITÀ: La capacità di includere. Il welfare pubblico della comunità Italia, come si configura oggi, non è inclusivo, non allarga i confini dei diritti.
Per chi ha un background come il mio – mi occupo di tutela del lavoro – il punto di partenza di ogni ragionamento che metta al centro il termine comunità, è la povertà crescente che sta trasformando i nostri territori. Allora, quando si parla di comunità, occorre ricordare che questo termine abbraccia tutti: chi ha un’occupazione, magari una famiglia, un ruolo, così come chi non ha più certezze, non “sta in comunità”, e non “fa comunità” come una scelta opzionale e superflua, al contrario ha bisogno della comunità per ottenere quel che ha di più necessario.
Altri interventi questa mattina hanno affrontato il tema, tuttavia voglio ugualmente ricordare che la prima necessità di una comunità qualsiasi è il lavoro. Perché solo lavorando posso rispondere sia ai bisogni essenziali e primari (vivere, abitare, curarmi) sia a quelli di prospettiva (far studiare i miei figli, offrire a me stesso e alla mia famiglia delle esperienze per crescere, per conoscere, per migliorarmi).
Infine, se la prima necessità di comunità è lavorare, la seconda è curarsi e avere sostegni in caso di perdita dell’autosufficienza.
Vi è ormai una diffusa sensibilità, non soltanto nel mondo sindacale, a ragionare sul welfare in chiave profondamente diversa dal passato. Dentro ogni organizzazione, come accade anche nella mia, si moltiplicano i momenti di riflessione, anche informale grazie agli strumenti della comunicazione digitale come le chat, i forum, i gruppi di lavoro.
Il punto nodale del welfare che dovremo costruire sarà la sua capacità non di consumare ma di generare valore. In termini pratici, per fare un esempio semplice, si tratta di elaborare un modello nel quale non vengono distribuite risorse economiche per sostenere ciascuno di noi nell’acquisto per servizio di cui abbiamo bisogno. Si tratta al contrario di mettere a disposizione soluzioni, che garantiscano un servizio adeguato, facendo leva su un progetto assicurativo, magari sulle competenze di una cooperativa sociale – mettano in campo cioè tutte quelle le leve che, allo stesso tempo, sono risposta a un bisogno reale e creano opportunità d’impresa e di lavoro altrettanto reali.
Dobbiamo ammettere per correttezza che non si tratta di argomenti nuovi. Tuttavia, il dato diverso è la crisi.
Allo stato attuale, solo in Veneto, la povertà è triplicata: oggi oltre il 15% di famiglie è entrato sotto la soglia di povertà, mentre eravamo a quota 5% otto anni fa.
Ma se guardiamo alla “zona grigia” della povertà relativa, quella che parla di privazioni (non vado in ferie, non mi curo…), il dato cresce molto. In valori assoluti si fa riferimento a cifre che vanno da 25.000 a bel 152.000 famiglie: una enormità in una regione come la nostra!
Si deve poi osservare che le famiglie povere sono spesso anche quelle più numerose.
E se andiamo ancora in profondità, guardando a fasce più deboli come quella degli anziani, attualmente l’assistenza arriva nel nostro territorio a poco più di 5.000 persone, avendo però esigenza di sostenerne 300.000.
Se il problema dell'autosufficienza è (e lo diventerà nei fatti) un tema centrale, non è in nessun modo pensabile attenderci la sola risposta del settore pubblico. È sempre più chiaro che ciascuno di noi deve imparare a ragionare in termini di prospettiva, garantirsi una dote da spendere nel futuro nel momento in cui avrò bisogno.
Intervento Nino Falotico – 5° Assemblea Nazionale
INTERVENTO DI NINO FALOTICO
PRESIDENTE CRU UNIPOL – BASILICATA
Care amiche, cari amici,
parto con una citazione di un grande intellettuale che ben si attaglia al nostro dibattito sul tema del mutualismo nella società del rischio.
“Ci troviamo nel mezzo di uno sviluppo sociale in cui l’attesa dell’inaspettato, l’attesa dei rischi possibili domina sempre più la scena della nostra vita: rischi individuali e rischi collettivi. È il fenomeno nuovo che diventa un fattore di stress per le istituzioni nel diritto, nell’economia, nel sistema politico e anche nella vita quotidiana delle famiglie”.
Così spiegava in un’intervista l’idea di società del rischio il sociologo tedesco Ulrich Bech, recentemente scomparso, cui si deve a metà degli anni ’80 una fondamentale e visionaria riflessione sul carattere profondo della società post industriale, società che egli definì, appunto, del rischio. Perché del rischio?
Lo vediamo oggi nel nostro operare quotidiano di sindacalisti. Il rischio, l’indeterminato, l’imprevedibile sono la costante dominante della società contemporanea. La globalizzazione ha messo in crisi lo Stato nazionale come spazio geografico di riferimento e, con esso, l’intera architettura sociale e istituzionale - si pensi al welfare state - che nello Stato trovava il suo punto di equilibrio e di compensazione dei conflitti, nonché di distribuzione delle prestazioni.
Tutto è diventato imprevedibile, e questo ha determinato e determina tutt’ora disorientamento, angoscia, paura, mettendo a dura prova la coesione sociale e la tenuta democratica.
Cos’è, ad esempio, la precarietà del lavoro se non un’espressione di questo rischio strisciante? Cos’è il populismo se non la manifestazione sul terreno politico di una società che cerca protezione dall’imponderabile e si rifugia nelle alchimie dei demagoghi. E si potrebbero fare molti altri esempi.
Dobbiamo, dunque, rassegnarci al rischio permanente?
Ovviamente no. Al contrario, dobbiamo cogliere la sfida della nuova modernità per coltivare nuovi modelli di governance per mutualizzare il rischio e rafforzare la coesione sociale delle comunità adoperando gli strumenti che la stessa modernità ci mette a disposizione.
Serve insomma un nuovo mutualismo nella società del rischio per rafforzare la comunità come luogo della cittadinanza.
È una sfida che ci riguarda tutti, sindacati e associazioni imprenditoriali, e che di tutti reclama il contributo.
Io credo che si debba procedere in due direzioni: 1) un nuovo modello di cooperazione tra capitale e lavoro; 2) nuovi strumenti di inclusione sociale.
Storicamente la Cisl considera l’impresa non già il luogo del conflitto permanente ma il luogo del dialogo possibile e della convergenza tra gli interessi dei lavoratori e quelli dell’impresa, dove le fasi temporanee di conflitto sono funzionali al raggiungimento di specifici obiettivi riformistici.
È noto che il lavoro non esiste allo stato puro in natura, ma è un derivato delle attività produttive. Per questo imprese più competitive significano più opportunità di lavoro e più benessere per le comunità.
Costruire attraverso gli strumenti contrattuali un nuovo modello di cooperazione tra capitale e lavoro significa dare corpo a quella lungimirante idea della democrazia economica in cui i lavoratori partecipano al destino della propria impresa, influenzandone significativamente la strategia.
Un nuovo rapporto tra capitale e lavoro significa confrontarsi per un più moderno sistema di relazioni industriali, dove la produttività sia distribuita sempre meno con la logica erga omnes e sempre più lì dove si crea effettivamente, evitando di confondere tra produttività e redditività. Va in questa direzione l’accordo raggiunto da Cgil Cisl Uil sul rinnovo del modello contrattuale.
In Italia siamo ancora lontani da questo modello cooperativo per ragioni di ordine storico e culturale, ma questo non vuol dire che non si possano ottenere importanti avanzamenti sul terreno della contrattazione aziendale e della bilateralità.
Serve un cambiamento di paradigma culturale nelle relazioni industriali, dunque, ma serve anche un nuovo modello di welfare state che risponda alle esigenze dell’oggi, alle esigenze di una società in cui rispetto al passato è più alto il rischio di restare soli e finire risucchiati nella trappola della povertà e dell’emarginazione sociale.
Mi riferisco, in particolare, alle migliaia di lavoratori espulsi dai cicli produttivi e che sono destinati per ragioni anagrafiche a non rientrare in azienda.
Che fare per restituire alla piena cittadinanza queste persone?
La recessione economica di questi anni ha messo a nudo le deficienze di un welfare state tarato sulla società industriale del ‘900, relativamente stabile e standardizzato, e che perciò si è dimostrato del tutto inadeguato ai bisogni di protezione che sono propri di una società del rischio.
Ecco perché ritengo non più differibile immaginare nuovi strumenti di inclusione sociale fondati sui principi di bilateralità, sussidiarietà e auto-organizzazione sociale in grado di affiancare e potenziare le prestazioni di base universalistiche del welfare state.
Proprio il welfare contrattuale è una delle frontiere più avanzate delle relazioni industriali, ma occorre intensificare gli sforzi per diffondere la pratica contrattuale nelle piccole e medie aziende.
In Basilicata, anche su sollecitazione del sindacato, sta partendo la sperimentazione del reddito minimo di inserimento, un’innovativa misura che unisce sostegno economico ad una proporzionata prestazione lavorativa, misura che serve ad attraversare la lunga notte della crisi.
Non si tratta di una mera operazione caritatevole ma di una concreta opportunità per chi ha perso il lavoro e non ha altre forme di sostegno al reddito per rimettersi in gioco.
Non è nemmeno la panacea, nella consapevolezza che solo una politica di sostegno alle piccole e medie imprese - attraverso un meccanismo di convenienze localizzative - può nel medio e lungo periodo restituire alla piena cittadinanza chi oggi vive ai margini del mercato del lavoro.
Edificare un nuovo mutualismo nella società del rischio, in conclusione, significa ripensare l’impresa come luogo della cooperazione tra capitale e lavoro e la comunità come luogo della cittadinanza; luoghi in cui si possa esplicare la personalità dell’individuo nella sua autonomia di soggetto libero e responsabile.
Tocca a noi profondere ogni sforzo per edificare quella che un grande intellettuale cattolico del secondo dopo guerra, Giuseppe Lazzati, definì “la città dell’uomo costruita a misura d’uomo”.
Grazie a tutti.
Intervento Massimo Biagioni - 5° Assemblea Nazionale
INTERVENTO DI MASSIMO BIAGIONI
DIRETTORE CONFESERCENTI TOSCANA
PRESIDENTE CRU UNIPOL - TOSCANA
Ringrazio Unipol per l’opportunità che ci offre di un confronto significativo.
Proprio perché significativo, leggo per non prendere troppo tempo condensando una serie di questioni importanti per noi nella prospettiva “territorio”, tema in cui mi devo attenere.
Abbiamo capito subito la direzione: la versione “Benuzzi 2.0” che si muove a suo agio tra hastag e inglese è il segno inconfondibile di un mondo che cambia si adegua e si cimenta nel guidare la crescita!
Questa assemblea anticipa la nuova stagione delle Convenzioni e la fase della fusione in un unico marchio, con un numero straordinario di attori che agiranno nel medesimo palcoscenico.
L’ampliamento e la messa a regime di tutti questi rivoli che confluiranno in un unico grande canale, renderà inevitabilmente “contraddittorio” il senso dei CRU, il loro ruolo nei confronti del complesso delle agenzie, il ruolo delle tradizionali organizzazioni socie; si dovrà arrivare a una realtà diversa segnata dal mercato in generale, e quindi al rapporto con altri interlocutori, altri enti, altre associazioni, oggettivamente competitor di noi, le sette realtà “tipiche e igp”.
Da anni lavoriamo per tessere una collaborazione sempre più fattiva, ma bisogna dire che i rapporti sono stati anche difficili, con contraddizioni e disinteresse reciproci, con forzature unilaterali, anche incomprensibili, e con l’emersione sorprendente di decisioni che non hanno aiutato.
Il rapporto è rimasto saldo, puntando a realizzare nel CRU una camera di compensazione dove far confrontare domanda e offerta, diciamo così, tra portatori di interessi e compagnia, per giungere a soddisfazione e utilità reciproca.
Questo cammino ha incontrato sottovalutazioni e superficialità sgradevoli, come apprendere che per i dipendenti Unipol Banca sono state versate risorse a un fondo interprofessionale di altre organizzazioni non socie, così come non ha aiutato l’esistenza di Convenzioni locali (dalla Croce Rossa di Greve alla famigerata ALE) con contenuti assai migliorativi rispetto a quelle stabilite per i nostri soci, che si sono trovati penalizzati, così come non ha aiutato la soluzione di questioni di dettaglio, ma importanti per chi ha necessità, come balneari, edicole, agenti immobiliari), nonostante la disponibilità che il nostro riferimento diretto non ha mai fatto mancare, anzi, intervenendo direttamente laddove era possibile.
Non hanno aiutato soprattutto chi si era spinto più avanti, cioè chi crede e credeva nei CRU. Vi chiederei maggiore attenzione nei nostri confronti.
Non possiamo essere così fuori dal mondo per non pensare che nel processo di ampliamento non ci possano essere fibrillazioni e difficoltà, però la domanda di cosa significherà il rapporto con le organizzazioni socie e quali condizioni ci saranno, credo sia legittima.
Del resto l’espansione è missione prioritaria per un grande gruppo come questo, destinato come ovvio a subire la concorrenza da parte di piccoli ma agili incursori che cercheranno di intercettare qualche spazio.
Sono consapevole fino al punto di aver contribuito a favorire rapporti positivi con soggetti regionali (con cui sarà possibile siglare un accordo al rinnovo delle convenzioni) e con opinion leader, cercando di svolgere la funzione CRU a cui sono stato designato.
Ma resta quell’interrogativo: lavoreremo per il Re di Prussia?
Il vento non si ferma con le mani; magari ricordarsi di tutta la strada che abbiamo fatto insieme male non farebbe, evitando di guardare solo gli ultimi due passaggi che hanno portato al gol, ma seguendo l’azione fin dall’inizio.
Le organizzazioni socie devono dimostrare di essere un valore aggiunto e di veicolare verso gli obiettivi condivisi quote della propria rappresentanza, ragionando sui risultati di raggiunti. Però occorre dotarsi di strumenti di lettura sobri e seri, altrimenti si possono fornire al gruppo dirigente fotografie sbagliate.
Lo scorso anno la rappresentanza complessiva di Confesercenti, CIA e CNA fu conteggiata in novemila posizioni. Fosse così consiglierei di chiuderle queste convenzioni nazionali, altrimenti rischiate di non riprendere nemmeno i soldi dei rimborsi spese di una riunione. Non saprei dire il motivo tecnico, ma il ragionamento non torna.
Dicevo dell’espansione nel mercato, la crescita e la potenzialità della rete.
Ciò vale doppio, pensando a questo gruppo Unipol “extralarge”, che ha inglobato la forza di un “marchio” di grande appeal come Fondiaria, che neanche la dissennata gestione precedente è riuscita a sporcare. Un marchio che mentalmente persiste nel tessuto culturale oltreché economico e la cui acquisizione è merito di questo gruppo, che ha salvato posti di lavoro, professionalità, redditi, economie e la cui rete non aspetta che di ritrovare nuova energia, prospettiva e una salda direzione.
Questo in Toscana e principalmente a Firenze, significa tante cose, un passato importante, una certa imprenditoria di livello, servizi di qualità, un sacco di risorse e opportunità.
Naturalmente sarà Unipol a decidere che fare, se giocare una certa partita, quali aspetti valorizzare, se considerare Firenze una piazza strategica.
La realtà parla da sola: Unipol in una delle città più significative del mondo rappresenta una importante quota immobiliare, di pregio e di valore. Proviamo a pensare il riverbero che potrebbe esserci nel centro storico, per quanto riguarda la residenza, la ricettività, i negozi, le realtà convegnistiche.
Ha ereditato strutture sanitarie che sono state un valore aggiunto, un anello che collegava molti interessi. Se non rientrano nella missione ci auguriamo che si possa trarre da quell’esperienza valore aggiunto per le politiche sociali e sanitarie a cui giustamente Unipol sta riservando tanta attenzione, evitando il rischio di depauperamento di una ricchezza della città. Anche perché il rapporto pubblico- privato qui richiamato, potrebbe trovare nella Regione, nuove orecchie interessate.
Analogamente è cruciale il ruolo di Unipol nella vicenda Comune-Fiorentina per quanto riguarda lo stadio. Oltre alle passioni, si parla dell’ultima parte di territorio di sviluppo possibile di Firenze, con annesso le implicazioni dell’Aeroporto e del Centro del Mercato.
La Confesercenti che c’entra.
Sapere la direzione, capire la disponibilità, poter contare su Unipol che ha una certa idea sul nuovo insediamento può rivelarsi non secondario per le nostre imprese e per l'intera città. Sempre che dalle parole si arrivi a qualche proposta chiara che tutti aspettano (e non da Unipol).
Si aprono un sacco di varianti, dunque.
Con il CRU abbiamo realizzato numerose iniziative che comunque hanno aggiunto un granellino al lustro del marchio.
La nuova e più estesa rete bisognerebbe fosse coinvolgente, efficiente, efficace e affamata. In grado di essere un pungolo anche per noi. Il passato non deve servire a recriminare, ma a trarre esperienze per costruire e risolvere, se ci sono stati, e ci sono stati, incagli.
Rafforzare le convenzioni “che abbiano un senso”, siglate certo in un quadro nazionale, ma rinviando al livello regionale i contenuti, e al territorio la messa in pratica, territorio dove ogni giorno si misurano necessità e opportunità di imprese e mondo del lavoro. Cominciando a distinguere, e investendo su chi porta risultati, oltre le firme, tra i diversi soggetti, e al loro interno.
Evitare infine che il margine di discrezionalità aziendale e della agenzie, che il mercato solleciterà, possa creare spiacevoli situazioni tipo di un socio che si trovi ad avere una stessa proposta dalla stessa sigla con prezzi diversi. Perché non sarebbe semplice a spiegare.
Come associazione confermiamo la disponibilità a fare la nostra parte, a svolgere un ruolo attivo e improntato allo sviluppo. Prova ne è la presenza in Assicoop che si è irrobustita con l'ingresso dell'associazione di Firenze, e il tentativo di creare forme di collaborazione con la rete degli agenti, con i presupposti citati da Benuzzi nell'intervento: una prospettiva generale condivisa; una sede di confronto vera e non rituale; strumenti adeguati di informazione e di coinvolgimento.
Noi a Firenze e in Toscana ci candidiamo ad essere un banco di prova di questo, con l'impegno a farlo diventare significativo.
Intervento Claudio Cinti - 5° Assemblea Nazionale
INTERVENTO DI CLAUDIO CINTI
PRESIDENTE DEL CRU UNIPOL – FRIULI VENEZIA GIULIA
Un cordiale saluto a tutti i presenti a titolo personale e da parte dei componenti del CRU del FRIULI VENEZIA GIULIA che presiedo da alcuni anni.
La parola chiave da sviluppare in questa Assemblea, che ci è stata affidata, nell’ambito di una nuova relazione fra Organizzazioni e Unipol è “OPPORTUNITA’”.
In pratica si riferisce a quali opportunità concrete si possono generare dall’insieme della rete globale e virtuale e dalle reti delle persone che fanno parte del mondo Unipol o con il mondo Unipol interagiscono, dalle Organizzazioni sindacali, alle Organizzazioni delle imprese, ai collaboratori, agli azionisti, ai clienti, ai fornitori, alle istituzioni, e, più in generale alla società.
In questi ultimi anni lo scenario di riferimento socio economico è profondamente mutato, il gruppo Unipol si è ingrandito, vi sono state importanti fusioni nel mondo della cooperazione, il mondo del lavoro e delle imprese si è notevolmente modificato.
Quanto è accaduto necessità di una profonda riflessione sul modello di sviluppo del Gruppo Unipol, che inevitabilmente si trasforma, estendendo le relazioni verso le grandi imprese pubbliche e private, la Pubblica amministrazione e il mondo delle professioni intellettuali, senza però dimenticare i valori fondanti e i due pilastri importanti della Mutualità e del rapporto positivo di scambio con le grandi Organizzazioni dei lavoratori e con le imprese e le cooperative.
E in questo contesto i CRU possono diventare una fonte di confronto e di proposta, interagendo con Unipol e tra di loro per socializzare le informazioni, sviluppare le idee e per formare gruppi di lavoro sperimentali su obiettivi condivisi.
Nasce “L’opportunità” appunto di sviluppare iniziative concrete che si fanno sui territori e le attività che le persone svolgono per rispondere ai nuovi bisogni emergenti.
Ciò presuppone un’attenta analisi del come veicolare le informazioni, di che tipo di informazioni dare e che risultati ottenere.
La costruzione di una rete tra Unipol, stake holders e CRU che socializzi le informazioni, sviluppi dei progetti, il monitoraggio dei progetti stessi e fornisca, se necessario, gli strumenti per operare meglio.
Naturalmente non intendo la costituzione di una rete solamente informatica, ma un qualcosa di più articolato, che cercherò brevemente di sintetizzare.
Il nesso tra centro e periferia o tra testa e territori è un anello che, se gestito in maniera intelligente, può dare una svolta al funzionamento di Unipol, al rapporto fra Unipol ed i suoi stake holders e quindi per questa strada alla nostra capacità, quella dei CRU, di stare sui territori.
Significa certamente avere delle visioni comuni ma significa anche andare oltre alle visioni condivise infrastrutturando questo nesso.
Cosa serve per creare una struttura materiale o immateriale per questo nesso, quali strumenti?
Non ho risposte precise da darvi sul come fare, in questa fase, ma sviluppare questi concetti sul cosa fare, credo e spero serva da stimolo a tutta la platea per cogliere questa opportunità.
Qualunque sia la migliore cassetta degli attrezzi è necessario comunque passare da una gestione delle relazioni, basata principalmente su quelle umane, a una gestione di queste relazioni più scientifica, più solida, più strutturata per far circolare informazioni mirate in maggiore quantità e in migliore qualità dentro il territorio, tra gli stake holders che costituiscono i CRU e soprattutto tra i loro mondi di riferimento dal mondo del lavoro a quello delle imprese dentro ai territori, e ancor di più tra i CRU.
Vanno individuate una metodologia ed una sistematicità semplificate attraverso le quali operare.
Significa che ci conosciamo in apparenza ma non ci conosciamo, in realtà, in profondità.
Mi chiedo se esistono dei metodi per diventare da singoli, soggettività individuali regionali, a qualcosa che ci trasformi in dei gangli di una rete organizzata.
Mi rivolgo ai colleghi degli altri CRU per capire se solo noi sentiamo la necessità di un maggiore interscambio con gli altri territori o è un’esigenza comune.
Anche nel mondo sindacale dal quale provengo, la UIL, si sta realizzando un’esperienza analoga che produce risultati soddisfacenti attraverso la scelta di adottare un modello organizzativo di “sindacato a rete” per valorizzare le presenze della UIL nei luoghi di lavoro e rafforzarne l’insediamento sul territorio, un modello che mette al centro e dà risposte alla persona e valore all’iscritto.
Quali sono gli strumenti, quali sono i metodi con cui è possibile creare anche con i CRU un’Infrastruttura leggera che consenta ai territori di parlarsi, attraverso questi meccanismi, e non soltanto di esistere ma anche di comunicare e fare delle attività insieme?
Prima di tutto conoscersi ( non è solo un sito internet, dicevo ) al fine di estrarre delle informazioni, delle esperienze, estrarre delle attività da sperimentare in comune tra i territori.
Un’idea, anche ottima, non si realizza pienamente se non viene trasmessa in modo omogeneo a tutti i soggetti che fanno parte dell’organizzazione e non tutti la socializzano, la interiorizzano e lavorano per quell’idea.
Nessuno deve essere lasciato solo! Ed è assieme, con le nostre idee e con il nostro lavoro che, sono convinto, riusciremo a superare gli ostacoli che spesso si frappongono alla realizzazione di progetti validi, ostacoli che provengono dal mondo della politica, della finanza, dell’economia. Così facendo contribuiremo a realizzare un futuro ed una società più equa e sostenibile.